Due condannati a morte sono stati impiccati ieri mattina a Tokyo e Osaka, in Giappone. Il nuovo ministro della giustizia ha disposto l’esecuzione della pena capitale di Junya Hattori, 40 anni e Kyozo Matsumara, 31. Il primo era stato condannato per lo stupro e l’omicidio, nel 2002, di una studentessa di 19 anni. Il corpo della ragazza era poi stato bruciato in un cantiere. Il secondo era stato dichiarato colpevole dell’uccisione, nel gennaio 2007, di due familiari nelle prefetture di Kyoto e Kanagawa.
Una nota del ministero ricorda che sono stati cinque i giustiziati durante il governo del premier Yoshihiko Noda, presidente del partito Democratico il DpJ. Le tre impiccagioni del 29 marzo scorso avevano chiuso una sorta di moratoria durata 20 mesi, a seguito del decreto firmato dall’allora guardasigilli Toshio Ogawa.
Dopo le condanne eseguite ieri mattina sono ancora 130 i detenuti nel braccio della morte in Giappone. Il ministro della Giustizia già a giugno aveva chiarito in parlamento che non avrebbe esitato ad emettere l’ordine di esecuzione se lo avesse ritenuto necessario. La decisione del governo nipponico ha provocato le proteste dei paesi europei e delle organizzazioni per i diritti umani. Amnesty International Japan ha oggi espresso il più “profondo disappunto per quanto accaduto”, come ha commentato il segretario generale Hideki Wakabayashi, il quale ha poi aggiunto: “Soprattutto se si considera che nel 2011 non ci sono state esecuzioni: è veramente un peccato che il governo dei Democratici di Noda non riesca ad allinearsi ai dominanti orientamenti internazionali, visti da ultimo i passi in avanti sul tema, fatti anche da paesi come la Mongolia”.
Il Giappone e gli Usa sono le ultime democrazie più industrializzate a prevedere ancora nel proprio ordinamento la pena capitale.
Gli ultimi sondaggi giapponesi hanno stabilito che i cittadini favorevoli al mantenimento della pena di morte superano l’85%.
Paola Totaro
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