Grecia, bufera sulla Chiesa Ortodossa: i soldi non si toccano

La Chiesa ortodossa greca è finita nella bufera a causa di una posizione di comodo che le ha consentito di sottrarsi, nell’ultimo anno, agli oneri finanziari dettati dalle norme imposte dal governo nei giorni immediatamente successivi allo scoppio della crisi finanziaria.

Norme risalenti allo scorso settembre, stabilite per volere della Comunità Europea e della troika, il triumvirato istituzionale referente della gestione economica comunitaria, e recepite dalla Grecia. Obblighi fiscali imposti ai cittadini e, infine, da questi violentemente criticati: per loro, un’ingiustizia. Secondo l’esecutivo, il solo argine a disposizione del governo per contenere l’alluvione finanziaria che stava travolgendo gli assi istituzionali del Pese.

Nonostante le rassicuranti parole giunte dal ministero delle Finanze in merito all’immenso patrimonio della Chiesa ortodossa (come tutti, “pagherà le imposte”) a distanza di un anno, degli adempimenti fiscali da parte dell’ente religioso non v’è traccia.

Luoghi di culto, monasteri, istituti di carità, enti religiosi: tutta un’allegra combriccola di evasori, stando alle denunce riportate sulle colonne di molti quotidiani esteri (Le Monde in Francia, o il Fatto Quotidiano in Italia). Un argomento tabù, quello della gestione economica dei patrimoni delle confessioni religiose, che in Grecia assume un’importanza di maggiore rilievo, vista la disaffezione, talvolta sfociata in irrefrenabile violenza, dei cittadini verso l’assetto istituzionale del Paese.

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La criticità di una storia di ingiustizia sociale è data anche dalla difficoltà di venire a capo dell’effettivo patrimonio goduto dall’autorità religiosa. Impossibile, secondo i beninformati, accedere ai libri contabili della Chiesa nazionale. Impossibile determinare l’ammontare dei redditi. Impossibile fare luce sulla effettiva portata delle proprietà iscritte a nome della Chiesa Ortodossa.

Una reticenza solidamente barricata nel legame stretto tra Chiesa e Stato. Che, però, giova alla prima e lede il secondo. “ I politici non vogliono mettersi contro le autorità ortodosse”, aveva già spiegato, senza mezzi termini, Stefanos Manos, deputato indipendente impegnato in una battaglia separatista tra chiesa e stato.

Battaglia, però, epilogata in un’inesorabile sconfitta, visto che dopo un anno, nel territorio ellenico, il ruolo spirituale degli ortodossi è ancora strettamente legato agli interessi politici. Si cercano voti attraverso la rete del culto. E, proprio tramite la rete del culto, i voti sono garantiti.

Passaggio obbligato, è anche quello del condizionamento dell’opinione pubblica, attività cui la Chiesa ortodossa è adusa. Al punto che, nei giorni caldi dei disordini sociali, ad Atene il popolo veniva persino arringato dal Santo sinodo che accusava proprio la troika di essere “una forza di occupazione straniera”.

L’avvitamento istituzionale, politico ed economico al centro di questo piccolo grande scandalo made in Grecia ha rafforzato, nei cittadini, l’idea per cui la Chiesa ortodossa altro non sia che un grande burattinaio. Disponibile al confronto di facciata ma, in realtà, menzognera e illiberale. Una schizofrenia che ha portato i media, negli ultimi mesi, a interessarsi con consapevole convinzione alla questione religiosa.

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Ed è venuto a galla un sistema di allegre gestioni, fallimenti e procedure di bancarotta, confische di beni. Piccoli, quotidiani misfatti, fino a quando godevano del silenzio generale di uno Stato franato economicamente, divenuti poi veri e propri scandali, a seguito delle denunce che hanno sollevato pubblicamente il tema della responsabilità di uno dei pilastri dell’intera Nazione.

Un pilastro che, però, non avrebbe mai partecipato al “mantenimento portante” della struttura greca. Soprattutto nella grande amalgama della crisi economica, nei giorni dei picchi della disoccupazione e della svalutazione, nei giorni della congestione del welfare, della politica punitiva, ostile e onnivora. E nei giorni, soprattutto, in cui sta per esplodere un nuovo ordigno normativo: un piano di circa dodici miliardi di euro, da rimediare con la consueta cesoia tributaria.

Alla quale, c’è da scommetterci, la Chiesa ortodossa non parteciperà. E proprio questa sua estraneità agli obblighi fiscali ha portato i greci a interrogarsi e, non trovando risposte esaustive, a ribellarsi. Poco, infatti, è dato loro sapere: 81 diocesi che filtrano gli oboli gestiti, poi, direttamente dalla Chiesa. Un seminario e un percorso di studio e di formazione religiosi interamente sovvenzionati dallo Stato.

E ancora, fondi greci appartenenti alle alte sfere ortodosse custoditi in Svizzera e garantiti dallo Stato. E circa 300milioni di euro l’anno, per il pagamento degli stipendi dei preti e alti prelati, erogati da uno Stato fallito, che però ha fatto salvo il collegamento della sua sfera temporale con quella spirituale della Chiesa Ortodossa.

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Emilio Garofalo


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