Un gruppo di copti, etnia religiosa egizia, guidato dal produttore Sam Bacile, ha realizzato negli Stati Uniti un film ritenuto blasfemo, dal titolo “L’innocenza dei Musulmani”. E in Libia, è esplosa ieri la rivolta. A Bengasi, la sede diplomatica americana è stata attaccata da un gruppo di manifestanti. Un’esplosione, bombe incendiarie, fumogeni. E, ancora, raffiche di armi da fuoco. Il bilancio è di un morto e un ferito. La vittima era un funzionario americano che operava nella sede diplomatica libica.
L’assedio è stato violento, repentino. L’edificio colpito si trova in una zona commerciale della città marina di Bengasi. Nelle vicinanze, ci sono bar e ristoranti. E sono stati proprio i civili che sostavano nei pressi dei locali notturni a fornire i maggiori dettagli sull’accaduto. L’attacco è cominciato poco dopo le 21,30. È proseguito per circa un’ora, un arco di tempo in cui, senza sosta, si sono susseguito spari ed esplosioni.
Le autorità hanno collegato la violenza alle proteste che, ieri mattina, erano esplose nei pressi dell’ambasciata statunitense del Cairo. Anche in Egitto, infatti, il film prodotto dai copti statunitensi era stato duramente contestato per le presunte offese che rivolgerebbe all’Islam. Secondo alcune fonti del ministero dell’Interno, l’attentato di Bengasi è riconducibile a questa ondata di proteste.
Proteste indirizzate, all’unanimità, contro un lungometraggio ritenuto indegno del credo islamico. A sollevare la questione della blasfemia, erano già stati, dunque, migliaia di egiziani, in maggioranza salafiti. Avevano deciso di gridare il proprio dissenso nel giorno dell’ undicesimo anniversario dell’11 settembre.
La loro azione: avevano rimosso la bandiera americana, sostituendola con un’effigie islamica. Poche ore dopo l’accaduto, era arrivato, conciso e durissimo, il commento del produttore Bacile: “L’Islam è un cancro”.
A Bengasi, invece, sempre i testimoni hanno riferito che “le strade adiacenti sono state chiuse rapidamente e sono stati creati dei posti di blocco in tutto il quartiere”. Per una ventina di minuti, il fumo ha reso le strade poco visibili, quando non del tutto inaccessibili.
Oltreoceano, non s’è fatta attendere la condanna degli Stati Uniti che, prima ancora di rispondere verbalmente all’aggressione subita, hanno inteso comunicarla. “Possiamo confermare che la nostra sede a Bengasi è stata attaccata da un gruppo di manifestanti – ha dichiarato Victoria Nuland, portavoce del Dipartimento di Stato. Le sue dichiarazioni sono giunte quando la notizia della morte del funzionario e del ferimento di un altro non era ancora stata resa nota.
Emilio Garofalo
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