Con le sue immagini, famose in tutto il mondo ed ora meglio conosciute anche in Italia dopo la personale che si è tenuta alla Brand New Gallery di Milano lo scorso aprile, Ori Gersht riesce ad ipnotizzare il suo pubblico, producendo una sorta di miscela tra emozioni di estasi e curiosità voyeuristica. Con lo sguardo incantato di fronte a un vaso di fiori che esplode o di un melograno che viene colpito da un proiettile, veniamo travolti dalle immagini che passano dalla perfezione alla distruzione. Di Annarita Tucci
A ragione il critico David Chandler nota l’accostamento tra le opere di Gersht con le terribili riprese dei fatti del 11 settembre. Si guardano le opere del fotografo israeliano con lo stesso sentimento con cui si è guardato cadere le torri del World Trade Centre, ossia fascinazione misto a paura. Non è, quindi, uno sguardo desiderante ma disincantante, che si posa sull’unicità e la centralità di queste frazioni di tempo che evidenziano tutte le futilità che ci circondano.
Attraverso immagini o film, Gersht cattura quell’attimo che conduce dall’inanimato all’animato, dal perfetto all’orribile o, per dirla filosoficamente, dall’essere al non essere. Questo istante riproposto in molte opere dell’artista, è il nocciolo della sua arte. L’irripetibilità di quel momento rappresenta le origini primordiali dell’umanità, attraverso il quale si rende visibile la fragilità e la caducità dell’esistenza umana.
Focalizzare quell’attimo, fissandolo in un obiettivo o rallentandone gli effetti, come in un lungo sospiro, facendolo divenire percepibile a qualsiasi sguardo, è ciò che tenta di raggiungere il fotografo. Attraverso le sue opere, Gersht, illumina quel momento scandagliandone i pezzi. La realtà al rallentatore che non permette più né scuse né fughe. Tutti sono chiamati alla terribile perfezione di quel momento. Tutti devono guardare l’illogicità del mondo umano e le sue terribili contrapposizioni, come paesi devastati dalla guerra mentre altri vivono in pace e con benessere.
Fissare l’effimero che non solo distrugge, ma che ci pone di fronte alla nostre contraddizioni. Come avviene in Falling Bird, basato sulla natura morta di Jean Baptiste Siméon Chardin, dove in un film in HD si vede un fagiano appeso per i piedi che viene immerso in uno specchio d’acqua scuro, mentre ci si riflette dentro. In una caduta a rallentatore e accompagnata da un suono scrosciante e acuto oltre che continuo, scompare non solo nell’ignoto ma nel suo stesso riflesso, ossia l’immagine di se.
Dunque un’arte esplosiva quella del fotografo israeliano nato a Tel Aviv nel 1967 (attualmente vive e lavora a Londra) esattamente tre giorni prima della guerra dei sei giorni. Facili e forse anche azzardati, sono gli accostamenti emotivi che sembrano trapelare tra le sue opere e l’esperienza infantile vissuta in una zona di guerra. Ma probabilmente questa ricerca spasmodica, che riguarda la caducità e la fragilità umana, è stata provocata dalla realtà vissuta in Israele. Quel senso di perenne instabilità e precarietà, che cerca di catturare, nasce da un’esperienza, ormai consapevole, che la sicurezza degli eventi e delle situazioni della vita sono solo immagini illusorie.
Gersht, però, non esprime tale concetto esclusivamente tramite la rappresentazione della distruzione, ma riesce a farlo anche più sottilmente come nelle opere “dei ciliegi” dalla serie Chasing Good Fortune, realizzata in Giappone durante la fioritura di questi alberi. Questa volta non c’è nessuna esplosione, soltanto la bellezza incantevole dei germogli di fiori che irradiano tutto intorno il loro estatico e perfetto splendore, finché non si comprende che internamente sono fiori avvelenati. Nella loro linfa scorrono le radiazioni, catapultando l’opera direttamente in un contesto sterile, post-atomico e radioattivo.
Ma ancora, la sua arte non è solo questo. È anche l’incontro tra passato e presente, che oltre a palesarsi dalla scelta di alcune opere basate sui dipinti di altri autori (come abbiamo visto in Falling Bird o come nella sua opera video Big Bang ispirata al quadro di Henri Fantin-Latour) si evidenzia anche grazie alle tecnologie che gli permettono di poter sperimentare la realizzazione di queste opere.
Attraverso una camera ad alta risoluzione (1/7500 al secondo) Ori Gersht affronta le tematiche più profonde della vita, sbattendoci in faccia tutte le nostre contraddizioni. Dalla nostra impossibile ricerca di stabilità e sicurezza, fino a toccare le nostre paure più remote. Questo fa Gersht con le sue immagini e con i suoi film. Riesce a trasportare i suoi spettatori dalla bellezza al terrore puro, costringendoli alla realtà.
Attualmente in mostra al Museum of Fine Arts di Boston fino al 6 gennaio 2013 con History Repeating, dove sono esposti alcune delle sue opere più famose come Pomegranate, Falling Bird, Dead Dog e Big Bang.
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molto interessante … e scritto benissimo!!!!!!!!!!!!!!!!!