Cronistoria di una catastrofe prevedibile

Il 15 maggio, l’anniversario della “catastrofe”, la “Naqba”, è più che mai presente tra i palestinesi. Nell’ultima settimana, sotto a un cielo nero con fuochi di assedio sono stati uccisi almeno 140 palestinesi, compresi 39 bambini, più di 950 sono i feriti. 10 mila palestinesi sono stati costretti ad abbandonare le loro case per mettersi al riparo dagli attacchi israeliani, ma a Gaza, una striscia di terra di 670 chilometri con due milioni di abitanti e i confini barricati dalle forze israeliane, non c’è molto spazio per ripararsi dal quarto arsenale più equipaggiato del mondo.

Oggi negli attacchi israeliani sono morte dieci persone in un campo rifugiati e la palazzina che ospitava gli uffici di Al Jazeera a Gaza city è stata distrutta.

L’escalation di violenza è cominciata la scorsa settimana a Gerusalemme est. I fedeli musulmani hanno protestato per la chiusura dell’entrata alla moschea di Al-Aqsa, in uno dei momenti chiave del mese del Ramadan. In parallelo, nel quartiere di Sheikh Jarrah altri scontri si stavano verificando tra la polizia e i manifestanti in sostegno alle famiglie palestinesi a cui i tribunali israeliani avevano ordinato l’espulsione forzata dalle loro case. Dopo la cena che interrompe il digiuno, decine di migliaia di palestinesi radunati per la preghiera nel complesso della Spianata delle Moschee si sono uniti alle proteste contro gli sfratti. 

La polizia ha brutalmente respinto i manifestanti facendo irruzione anche all’interno della moschea utilizzando gas stordenti e proiettili di gomma. I palestinesi hanno risposto lanciando scarpe e sedie di plastica. Almeno 200 persone sono rimaste ferite.

Allo stesso tempo, le autorità israeliane hanno annullato la marcia di un gruppo di nazionalisti intenti a celebrare la conquista della Città vecchia da parte dello Stato ebraico nel 1967. Attraverso Instagram sono stati diffusi video (poi censurati dal social network) che avevano come protagonisti cittadini israeliani esultanti nel vedere i manifestanti palestinesi pestati dalla polizia.  

Il 10 maggio Hamas ha colpito Gerusalemme, lunedì Israele ha lanciato raid aerei su Gaza, colpendo edifici, civili e uccidendo oltre 40 persone, tra cui almeno 14 bambini. Da Gaza i razzi hanno colpito Tel Aviv. Venerdì gli aerei israeliani hanno lanciato dozzine di missili e hanno aperto il fuoco di artiglieria sulla Striscia di Gaza, prendendo di mira civili, edifici governativi, strade, scuole e moschee. In risposta, da Gaza è stato lanciato un razzo che ha colpito un edificio nella città israeliana di Ashkelon.  

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L’eterno ritorno

Alla base dell’escalation tra israeliani e palestinesi dell’ultima settimana ci sono eventi e ricorrenze simboliche, ma sono anche le condizioni politiche ad aver aperto la strada per un estremo livello di violenza di un conflitto che rimane comunque ad armi impari. Quello che sta accadendo in questi giorni è il risultato di decenni di conflitto e oppressione, di espropriazione di territori, di discriminazioni quotidiane, di esilio forzato per milioni di arabi palestinesi.

Le restrizioni per l’accesso alla Spianata delle Moschee sono considerate provocazioni dai palestinesi, soprattutto nel mese di Ramadan. Le forze di polizia israeliane avevano l’ordine di evitare gli assembramenti dei fedeli musulmani chiudendo la Porta di Damasco, impedendo di fatto la loro libertà di culto, mentre gli israeliani potevano tranquillamente marciare per l’anniversario della conquista di Gerusalemme est. 

I poliziotti che corrono con gli stivali sui tappeti della moschea per aggredire i fedeli in preghiera durante il Ramadan, un momento che dovrebbe essere gioioso, in cui le famiglie e gli amici si riuniscono, è un’immagine di fortissimo impatto per i palestinesi, oltre a una chiara violazione del diritto internazionale per quanto i luoghi di culto.

D’altra parte, gli sfratti dei palestinesi non sono una novità, sono anzi il cuore del conflitto. A Sheikh Jarrah come in molti altri luoghi. Alcuni coloni hanno interpellato i tribunali israeliani per dimostrare che quelle abitazioni erano di loro proprietà prima del 1948. La legge secondo cui viene regolata l’appropriazione delle terra non garantisce equità, in quanto la decisione ultima spetta alle corti israeliane, che raramente tengono conto dei documenti con cui i palestinesi possono provare di possedere un certo immobile o terreno. Oltretutto, secondo il diritto internazionale la parte est della città di Gerusalemme è un territorio occupato, ciò significa che Israele non avrebbe diritto di fare alcunché. Intanto l’udienza sugli avvisi di sfratto per le famiglie di Sheikh Jarrah è stata rimandata.  

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Politici attaccati alle poltrone

Sia i palestinesi che gli israeliani si trovano in un momento di stallo politico, in cui chi è al potere fa di tutto per rimanerci.

Dall’ultima tornata elettorale palestinese, in cui la gestione del potere fu divisa tra Gaza, dove si stabilì Hamas, e la Cisgiordania, controllata da Fatha, sono passati 15 anni. Le nuove elezioni parlamentari dovevano finalmente tenersi il 22 maggio, in vista delle presidenziali a luglio, elezioni previste come molto partecipate visto che il 93% dei 4,5 milioni di elettori ammissibili si è registrato per il voto. Invece, il presidente Abu Mazen ha spiegato che i palestinesi dovranno aspettare ancora un po’ per votare perché Israele, violando gli accordi di Oslo, impedisce ai residenti di Gerusalemme est di andare ai seggi. 

In verità, ci sono delle alternative per votare anche senza l’assenso di Israele, ma il rinvio fa troppo comodo al leader di Fatah, a cui invece si oppone Hamas.  

Vista la gestione di Gaza, dove la popolazione vive da sempre in condizioni disastrose, anche Hamas ha perso credito. Il partito islamista spera adesso di ritrovare il consenso con il tentativo di risposta all’offensiva israeliana, per questo le imminenti elezioni potevano essere una buona occasione.  

Oltre ad Hamas, Fatah teme Marwan Barghouti, un popolare riformista di Fatah, condannato da Israele durante la seconda Intifada. Anche se tuttora nelle carceri israeliane, Barghouti potrebbe riscuotere parecchi consensi. 

Anche le mancate elezioni hanno avuto un peso sulla frustrazione dei palestinesi. Soprattutto chi risiede a Gerusalemme est dove per i palestinesi non c’è rappresentanza. Gli israeliani non permettono alcuna istituzione palestinese in quel territorio, questo spinge le proteste popolari dei civili che non hanno altro modo per esprimere la loro voce. 

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Dal canto suo invece, Israele, ha indetto quattro elezioni in due anni e l’ultimo governo è durato appena 7 mesi. Nel momento in cui l’opposizione ha l’incarico di formare un nuovo governo di coalizione, che lo emarginerebbe, il leader del Likud sta cercando di mettere la scacchiera a suo favore. 

Infatti, i piani per intensificare l’operazione militare contro Gaza sono arrivati sotto l’ordine del primo ministro israeliano Netanyahu, che ha inoltre portato il paese a respingere la proposta di Hamas per un cessate il fuoco. I palestinesi hanno passato così la festa religiosa di Eid al-Fitr pregando tra gli edifici distrutti con gli attacchi ancora in corso. 

Intanto il presidente Netanyahu è da tempo coinvolto in una serie di processi per corruzione, dai quali sta abilmente scappando avvalendosi dell’immunità, una garanzia che potrà usare soltanto fino quando in carica. L’offensiva contro Hamas diventa quindi un’opportunità politica per dimostrare di essere l’uomo forte in grado di perseguire gli obiettivi di Israele e proteggerla dal nemico palestinese.  

Ciò che sta accadendo non è straordinario, non era imprevedibile. È il gioco di uno scontro che va avanti anche senza principio di proporzionalità, in cui a rimetterci, come al solito, sono i civili.


Profilo dell'autore

Giulia Bernacchi
Giulia Bernacchi
Tra storie e geopolitica, scrivo e ricerco soprattutto su Turchia, Siria e Iran, accompagnando i miei racconti con foto e video. Dopo una laurea in scienze politiche e una breve esperienza in redazione, mi sono trasferita in Turchia per lavorare nella cooperazione internazionale.
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