di Francesca Rossi
Per alcuni è una danza priva di tecnica, per altri un insieme di movenze senza significato, confuse, selvagge e addirittura lascive. Per la maggior parte è il ballo delle odalische, intriso di seduzione fine a se stessa. I pregiudizi intorno alla danza del ventre sono tantissimi e duri a morire. Di più: con tutta probabilità nessuno riuscirà mai ad estirparli radicalmente e le ballerine, che di quest’arte hanno fatto un lavoro dopo anni di studi, dovranno perfino abituarsi a conviverci.
L’origine delle dicerie sulla danza del ventre risale ai viaggi degli occidentali nelle terre arabo-islamiche durante il periodo coloniale e alla visione distorta dell’Oriente e delle sue donne che, in certi casi, ci accompagna ancora oggi. Per sfatare alcuni miti, è necessario iniziare un cammino allo scoperta dell’universo danzate, ripercorrendo la storia e contemplando nel profondo il fascino di questa arte.
Per prima cosa la danza del ventre non è “una e unica” o “pura”. Al suo interno esistono una varietà di stili e di fusioni che con il tempo sono diventate delle vere e proprie varianti. A tal proposito è molto importante anche l’interpretazione della ballerina, che può arricchire ulteriormente queste varianti.
Storicamente, l’apporto tecnico e stilistico dei gitani, che dall’India arrivarono fino al Vicino e Medio Oriente tra l’XI ed il XV secolo, è stato fondamentale per lo sviluppo della danza del ventre.
I loro balli, le loro movenze sinuose che catturavano il ritmo con maestria si fusero senza difficoltà con le danze dei paesi ospitanti, alimentando quest’arte e rinnovandola.
A questo discorso sulle “contaminazioni” (il termine è usato in senso positivo), se ne collega un altro altrettanto importante: i nomi della danza del ventre. Qualcuno la chiama “danza orientale”, qualcun altro “raqs sharqi” e via dicendo. L’esigenza di non usare l’espressione “danza del ventre” può essere legata proprio alla visione distorta che circonda questo ballo: la semplice parola “ventre”, infatti, richiama alla mente qualcosa di erotico, di istintivo, le nostre pulsioni terrene. Insomma, l’irrazionalità. Questo è il modo in cui molti viaggiatori occidentali hanno visto l’Oriente e le sue arti.
“Danza orientale” è un’espressione che dice tutto ma, in realtà, non dice nulla. Può riferirsi tanto alle danze arabe, quanto a quelle cinesi. Raqs Sharqi è arabo e vuol dire proprio “danza orientale”. Non si va molto lontano. Tra l’altro questa espressione indica anche un preciso stile di danza egiziana.
“Danza del ventre”, invece, esprime il concetto, l’essenza di quest’arte senza girarci intorno o creare equivoci. E’ vero che durante l’esecuzione non viene coinvolta solo questa parte del corpo, ma i termini riassumono bene il ruolo centrale delle emozioni, di quelle sensazioni “di pancia” che per molti anni soprattutto le donne sono state costrette a reprimere in abiti strettissimi e busti deformanti.
Alla fine dell’Ottocento le ballerine di danza del ventre erano considerate odalische, femmes fatales. Liberavano il corpo attraverso musiche vibranti di sensazioni diverse e nessuna “signorina” per bene avrebbe mai osato imitarle. Con il tempo, per fortuna, le cose sono cambiate e le stesse danzatrici sono più coscienti di ciò che fanno.
Ogni gesto, ogni sguardo, ogni singolo movimento ha un preciso significato nella danza del ventre. Chi la studia dovrebbe cercare di approfondire questa parte teorica che non è certo meno importante o suggestiva di quella pratica. La vera seduzione non viene dall’esecuzione di una semplice figura, ma dalla consapevolezza, dalla conoscenza della sua essenza.
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Un luogo comune è quello di legare tale danza al ballo dell’harem. Non è esatto. La danza del ventre non nasce nell’harem, è molto più antica. Risale ai culti che celebravano la Dea Madre, la fertilità che si sprigionava dal corpo della donna (nel ventre). Le concubine dei sultani, invece, la praticavano per le loro compagne di prigionia; una danza eseguita dalle donne per le donne.
Dare una data di nascita precisa per la danza del ventre non è possibile: essa esisteva già nella preistoria, nel Paleolitico.
La sua origine è legata a filo doppio con il culto della Madre Terra (la terra che è una sorta di ventre sacro con il potere di creare, dare vita), con quello della Luna, che attraversa tre fasi, segue un ciclo vitale assimilabile alla vita umana e a quella della terra stessa. Nascere, crescere, morire e rinascere in un eterno ciclo che esprime l’immortalità del mondo.
Per tutti questi motivi la danza del ventre non è affatto semplice. E’ vero che non serve una particolare predisposizione fisica, ma c’è comunque bisogno di volontà, costanza ed una buona base tecnica. Come tutti i balli anche questo si impara.
E’ un viaggio di scoperta che si compone di una parte “pratica” in cui si imparano i movimenti e le coreografie e di una parte teorica. Privilegiare solo la prima a scapito della seconda vuol dire apprendere una sequenza di gesti vuoti. Non ci sono ammiccamenti o ancheggiamenti volgari.
A tal proposito è bene ricordare che non è un ballo erotico, sarebbe riduttivo e di certo non è pornografico: è una danza che raccoglie e sprigiona l’energia del corpo, non solo sessuale. Una vera ballerina danza, studia, legge e fa esperienza di stili anche molto diversi tra loro. La danza del ventre è nata per celebrare il sacro e la donna, non per svilirla o ridurla ad oggetto sessuale. Non sarebbe ora di liberarci dalle catene dei pregiudizi?
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