Reportage di Maurizio e Antonella Moretti
Schiacciata fra Russia e Cina, senza sbocco al mare, la Mongolia conforma un territorio esteso quanto sei volte l’Italia, con una popolazione stimata di 2.900.000 persone, di cui circa 2.000.000 transfughi verso il miraggio del “benessere occidentale” della capitale Ulan Batar. Si può dire quindi che esistano due Mongolie. Quella “racchiusa” nel perimetro della città e quella “aperta”, l’impero del vento e delle aquile, che costringe il visitatore a una frequentazione possibile solo nei mesi che vanno da giugno a fine settembre; nei restanti periodi dell’anno la neve, il gelo, temperature che si abbassano fino a 50 sotto zero, la mancanza di strade, di segnaletica, rendono impraticabili le piste di questo grande paese. Noi siamo andati a giugno.
Aggregati a una piccola spedizione composta da un paleontologo, due archeologi e due medici, io e Antonella ci siamo avventurati lungo un percorso di 2400 km che dalla capitale, ci ha portato fino a nord-ovest, nella punta estrema dell’Altai Mongoli, la grande catena montuosa al confine col Kazakistan. Nell’attraversare steppe sterminate che profumano di artemisia,abbiamo incontrato gente fiera, con un autentico culto dell’accoglienza, che ci ha offerto riparo e cibo. Abbiamo mangiato nelle loro ciotole e dormito dentro le loro gher. Per i mongoli, l’incontro con l’“altro”è e rimane un momento di festa, di “gioia culturale”. La diversità è vissuta come ricchezza reciproca. Nessun disagio sfiora le loro menti “pure”. Se mai noi, ormai così disabituati al gesto disinteressato viviamo qualche imbarazzo iniziale. Ma è veloce e piacevole lasciarsi andare a queste relazioni. In questo viaggio ai confini del mondo, permeato da una quiete “lontana”, ci siamo imbattuti in scenari e situazioni di difficile spiegazione.
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Ci sono stati momenti in cui si ascoltava il “nulla”; altri in cui lo sguardo non era mai sazio, ma sempre si avvertiva quasi come la necessità di scorporare i nostri sensi per godere appieno quelle emozioni fortissime di cui anche noi facevamo parte. A distanza di mesi ci rendiamo conto di quanta difficoltà ci sia nel trasmettere e rendere partecipi gli altri alla fascinazione che la Mongolia ci ha lasciato addosso. Possiamo raccontarvi di grandi laghi salati estesi per decine di chilometri, senza la traccia di nessuna presenza umana, abbiamo visto i Bal-Bal, queste misteriose e millenarie sentinelle di pietra, sembra di origine ottomana, che si materializzano all ‘improvviso nella steppa, e di cui a tutt’oggi nessuno sa dare plausibili spiegazioni circa il loro posizionamento, e molto ancora. Terra di dinosauri e di Gengis Kan di cui non è dato sapere il luogo di sepoltura, ma la cui aurea e immagine permea persino le etichette delle bottiglie di vodka, la Mongolia è un paese antico che protegge gelosamente usi e tradizioni a dispetto dei rapidi processi di “modernizzazione” del pianeta.
Un segno della resistenza e della tenacia di questo popolo ci èpiaciuto individuarlo nei “Taki”, piccoli cavalli bradi coetanei dei grandi Mammut, estinti 12.000 anni fa, e a loro sopravvissuti. Nel resoconto di immagini che abbiamo scelto, c’è il limite di una profonda parzialità Ma se riusciremo a suscitarvi una qualche curiositàper la Mongolia, questi scatti non saranno stati vani.
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