Il Signor Diamant 70 anni fa venne marchiato con il numero 157.622 dai nazisti ad Auschwitz. Ultimamente, la nipote, Eli Sagir, dopo un viaggio con la scuola superiore in Polonia ha deciso di tatuare sul proprio corpo lo stesso numero. Dopo di lei anche la madre il fratello e lo zio hanno seguito l’esempio.
Racconta Sagir, 21 anni: “Tutta la mia generazione non sa nulla della Shoah“. “Tu parli con la gente e pensano che sia come l’Esodo dall’Egitto, storia antica. Ho deciso di farlo per ricordarlo alla mia generazione: voglio raccontare loro la storia di mio nonno e la storia dell’Olocausto “.
I discendenti del signor Diamant hanno deciso di commemorare così i giorni più bui della storia del proprio popolo. Come fosse un rito di passaggio, ormai tutti i giovani ebrei di Israele, si recano a visitare i campi di sterminio.
Il memoriale dell’Olocausto Yad Vashem a Gerusalemme e ed altri musei del Paese stanno cercando di rendere più accessibili le mostre sull’argomento.
Ma l’approccio per qualcuno è sbagliato e tendente a banalizzare dei simboli che un tempo erano sacri e ritengono che il messaggio principale dovrebbe essere l’importanza di uno Stato autonomo ebraico, la prevenzione di futuri genocidi e la sensibilizzazione sul razzismo e la tolleranza.
“Ci stiamo spostando dalla memoria vissuta alla memoria storica”, ha osservato Michael Berenbaum, professore presso l’Università ebraica americana di Los Angeles, che è tra i più importanti studiosi della commemorazione della Shoah. “Siamo in questa transizione”.
Il signor Berenbaum, anche lui figlio di sopravvissuti, si è detto scettico riguardo la scelta di tatuarsi il numero nazista sul corpo, ma ha anche aggiunto che “è sicuramente meglio di altri tatuaggi che i giovani si disegnano sulla pelle. ”
La scelta del tatuaggio è sicuramente molto personale, ma spesso offende coloro i quali vedono negativamente l’appropriazione di un simbolo forse tra i più dolorosi della disumanizzazione delle vittime dell’Olocausto.
Per la legge ebraica inoltre il tatuaggio è vietato e molti sopravvissuti hanno a lungo temuto di non poter essere sepolti nei cimiteri ebraici proprio per questo.
“E’ scioccante vedere il numero tatuato su una ragazza molto giovane” dice Sagir. “Certo, ma bisogna chiedersi: perché?”
Il tatuaggio venne introdotto ad Auschwitz nell’autunno del 1941 come riporta l’Enciclopedia dell’Olocausto dello “ United States Holocaust Memorial Museum”, e nel marzo successivo a Birkenau.
Solo questi campi attuavano la pratica e non è chiaro quante persone siano state marchiate sul petto o più spesso sull’avambraccio sinistro.
Solo gli internati ritenuti idonei al lavoro erano numerati sul corpo e nonostante l’orrore, molti di loro hanno vissuto il marchio con orgoglio, soprattutto i primi ad aver subito il tatuaggio. Era la prova di essere riusciti a sopravvivere a più inverni in condizioni drammatiche. Primo Levi ha scritto in un suo libro: “Ognuno tratterà con rispetto i numeri dal 30.000 all’80.000” indicando il tatuaggio come parte della “demolizione di un uomo”.
Finita la guerra alcuni sopravvissuti si sono affrettati a rimuovere i tatuaggi con la chirurgia o li hanno nascosti sotto i vestiti. In seguito alcuni li hanno usati come numeri da giocare alla lotteria o come password.
Proprio per approfondire questo argomento, Dana Doron, 31 anni, medico e figlia di un sopravvissuto, ha intervistato circa 50 sopravvissuti all’Olocausto tatuati, ed ha realizzato un documentario israeliano dal titolo “Numerato” diretto con Uriel Sinai, un fotoreporter, e che verrà presentato il mese prossimo negli Stati Uniti al “Chicago International Film Festival”.
Paola Totaro
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