Catalogna esausta a un passo dalle elezioni, fra secessione e liberismo sfrenato

Testo di Emiliano Pacini. Foto di Stefano Pacini

Il prossimo 25 novembre, tra due giorni, si terranno le elezioni anticipate nella Comunità autonoma catalana. Appena due anni dopo il successo elettorale della formazione catalanista Convergencia i Uniò, il presidente del governo in carica, Artur Mas, ha deciso di giocare l’ultima carta politica rimastagli per superare la grave perdita di consenso del suo esecutivo, dovuta ad una selvaggia politica di tagli alla spesa sociale.

Durante i due anni di mandato elettorale Convergencia i Unio si è messa in luce sopratutto per la zelante repressione del movimento degli indignados e per i tagli alla spesa pubblica, applicando le direttive di Madrid (e cioè quelle della troika UE-FMI-BCE); è stata più un braccio esecutore impegnato a garantire il controllo della produzione, che un soggetto politico degno di questo nome.

Dal 2010 a oggi ci sono state grandi manifestazioni che hanno avuto nel mirino, tra gli altri, Mas e la sua giunta, capace di attirarsi le ire di vasti strati della popolazione per la strage sociale a base di sfratti e disoccupazione imposta. La Catalogna è una delle regioni spagnole dove più si è perso lavoro durante questa crisi, questo perché era ed è tutt’ora una delle regioni più industrializzate e ricche della Spagna. La nuova orda di disoccupati ultimamente sta rendendo la vita più difficile a tutti i politici europei e quelli catalani non fanno eccezione; a 3 anni dalle prossime elezioni Mas e CiU sembravano destinati a rimanere in sella ad un cavallo morente e ad affrontare la loro probabile fine politica.

Tutto è cambiato dopo l’11 settembre e l’oceanica manifestazione indipendentista tenutasi per la Diada Catalana. Sfruttando il milione e mezzo di manifestanti aggregatisi a Barcellona per rendere omaggio agli insorti del 1714 ma sopratutto per reclamare lo Stato autonomo catalano, CiU è riuscita a recuperare molto del terreno perduto nel consenso sociale, o almeno tra coloro che non diserteranno le urne, lo zoccolo duro di votanti che sembra garantire a questo partito il primo posto col 37% nelle prossime elezioni.

Da tempo c’erano tutti gli indizi che Mas avrebbe imboccato la via indipendentista per proporsi come unico possibile traghettatore verso lo stato autonomo catalano. Con l’appoggio della sinistra autonomista parlamentare, di buona parte della classe imprenditoriale e sopratutto dei media catalani dalla sua, questo barcellonese classe ‘56 sembra diventato da un giorno all’altro il messia dell’indipendenza. Basterebbero i manifesti elettorali grandi 3×6 metri, con il Presidente ritratto in una sorta di abbraccio biblico su uno sfondo di senyeras (la bandiera a strisce rosse e gialle della Catalogna) a dare il tono di questa campagna elettorale che ormai si è avvitata su un unico: tema indipendenza sì / indipendenza no.

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Il tema del ridimensionamento della spesa pubblica viene debolmente utilizzato dal Partito Socialista che per ovvi motivi non può battere più di tanto su questo tasto, mentre il Partito Popolare utilizza anch’esso lo spauracchio indipendenza ma in maniera diametralmente opposta ai catalanisti.

Il PP gioca anch’esso l’unica carta disponibile, quella della difesa dell’indivisibilità della patria spagnola; il governo della destra post-franchista guidato da Rajoy si sta dimostrando disastroso, capace perfino di far peggio dello Zapatero 2008-2011. L’elettorato destrorso e spagnolista del PP e degli altri micropartiti fascisti come la Falange, Plataforma per Catalunya ed altri, ha reagito come un toro davanti al drappo rosso in nome di dell’unità del popolo spagnolo sotto Madrid.

Una manifestazione unionista convocata dal PP a Barcellona ha riunito dalle 30 alle 60mila persone, con codazzo di fascisti locali e forestieri inclusi. La destra ha i nervi a pezzi, nel canale tv Intereconomia il talk show El Gato al Agua, dipinge i Catalani come malvagi ed egoisti. Uno degli aneddoti raccontati vedeva come protagoniste due donne, madre e figlia di 6 anni, che nel recarsi al corso di danza sevillana della piccolina si sono viste sbarrare il passo dagli indipendentisti che le hanno prese a male parole per il fatto di essere charnegras, andaluse trapiantate in Catalogna. Addirittura, uno dei commentatori del talk show si è spinto a dire che i catalani hanno crocifisso Gesù Cristo, in quanto Ponzio Pilato quando fu nominato governatore della Palestina aveva con sé come scorta i legionari della Legio Tarraconensis di stanza a Tarraco, odierna Tarragona.

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D’altronde la corsa a chi la spara più grossa ha una copertura continua anche a livello dei media corporativi nazionali, che giocano con il secessionismo per dividere gli spagnoli e i catalani ed aizzarli tra di loro; in una forma o nell’altra quasi tutti i soggetti istituzionali guadagnano da questa corsa al plebiscito sull’indipendenza: i partiti, come si è visto; lo stato, che in questa maniera riesce a far passare sotto silenzio un nuovo codice penale con misure come l’arresto per chi riprende o fotografa un poliziotto; il governo di CiU, che punta a rinnovarsi come unico garante possibile verso lo stato autonomo, comunitario e capitalista.

Lo sciopero del 14 novembre, inserito in questo contesto di campagna elettorale, ha dimostrato ancora una volta, nonostante non ce fosse bisogno, fino a che punto questi governanti sono disposti ad arrivare per garantire un minimo di ordine pubblico che permetta di continuare a spremere i lavoratori e vessare tutti quelli che si azzardano a protestare; ad esempio la donna che perderà molto probabilmente l’uso totale dell’occhio sinistro a causa dell’impatto di una pallottola di gomma sparatale in faccia dalla polizia. Le immagini peggiori sui mossos in azione, la contropropaganda spagnolista e l’ondata di sfratti avallati senza se e senza ma dal president Mas, forse hanno un po’ rallentato la spinta di CiU in favore del binomio PP-PSOE e probabilmente impediranno a Convergencia di avere la maggioranza assoluta per puntare al referendum indipendentista.

Tutto fa pensare ad una futura alleanza parlamentaria con tutto l’arco dei partitini indipendentisti e con Esquerra Republicana Catalana, che ormai dialoga con la borghesia catalana senza remore apparenti. Sembra evidente che buona parte dell’imprenditoria e della finanza catalana punti a scaricare la Spagna nel momento dell’affondamento economico di quest’ultima.

In questo senso il nuovo stato diverrebbe una trincea liberista da difendere ad ogni costo per continuare ad attirare i soldi della finanza e del turismo. Esattamente quello contro cui si sono battuti e si battono oggi molti cittadini coinvolti in vario grado nei movimenti spontanei, il movimento 15M, i movimenti antifascista e indipendentista.

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A vedere le cose in questo senso, una possibile indipendenza della Catalogna sembra più un problema di spazio che politico; Mas ha provato a restringere lo spazio dello scontro ritirandosi nella difesa dello stato autonomo catalano, gli antisistema si ritrovano da un giorno all’altro a combattere sul fronte interno dell’indipendentismo e quello esterno del vassallaggio alla Troika.

Il tutto potrebbe sfociare nell’ennesimo bluff del potere reazionario catalanista, che passate le elezioni ritorna nei ranghi alleandosi con Rajoy, in cambio magari di qualche ministero che conta; oppure potrebbe portare davvero ad un referendum che in caso di si all’indipendenza aprirebbe uno scenario tipo Kosovo “light”. La Spagna, per ovvi motivi, è uno di quegli stati che non hanno riconosciuto il Kosovo come nazione indipendente nonostante queste fossero le direttive di Bruxelles e della Nato; è chiaro che l’atteggiamento ambiguo dell’europarlamento li spaventi.

Una possibile indipendenza della Catalogna adesso non comporterebbe nessun miglioramento sostanziale per la vita di milioni di catalani e non che qui risiedono. Non si può pensare che un settore del capitalismo governi meglio della controparte se i rapporti tra governo e governati rimangono essenzialmente gli stessi di prima. Cambiare casacca al padrone non gioverà ai suoi servi.

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