di Annarita Tucci
Alla fine di settembre è uscito al cinema l’ultimo lavoro di Matteo Garrone “Reality”. L’atteso ritorno del regista dopo la fatica di Gomorra segna ancora una volta la sua volontà di occuparsi a tutto tondo della tematica del sociale. Sociale, come cambiamento culturale o come immigrazione, poco conta. Infatti, lo sguardo del regista delinea, in maniera sempre molto veritiera e cruda, la società in cui viviamo con tutti i suoi cambiamenti. In “Reality” il taglio è più da commedia, mentre in “Gomorra” più drammatico, ma questo non significa che l’interesse al sociale da parte di Garrone vada diminuendo. Il “fil rouge” che unisce tutti i suoi film sembra essere proprio questo sguardo, che penetra la realtà in tutte le sue sfaccettature.
Ripercorrendo la sua carriera, la sensibilità del regista verso il sociale è ancora più evidente. Infatti, nei corti degli anni ’90 realizzati da Garrone, risulta pregnante la questione dell’immigrazione con le annesse problematiche sull’integrazione. Basta ricordare “Terra di mezzo”, prodotto nel 1996. Il film, realizzato dall’unione di tre episodi, è dedicato completamente all’integrazione degli stranieri nel Bel Paese, più precisamente nell’eterna Roma. Attraverso i tre corti (Silhoutte, Euglen & Gertian e Self Service) l’autore mostra direttamente e dall’interno la vita degli immigranti, siano essi in cerca di fortuna o costretti dalla situazione politica del loro paese.
Attraverso la telecamera, Garrone riproduce fedelmente la realtà, senza alterazioni soggettive e senza quella ‘lamentosa’ drammaticità, troppo spesso legata al mondo dell’immigrazione. Il suo sguardo obiettivo mostra, senza interferenze, la quotidianità della vita romana alla fine degli anni ‘90. Rappresenta vite parallele che scorrono (come ben giustamente rivela il titolo dell’opera) in una terra di mezzo, emarginata e ghettizzata.
Film senza colpi di scena, perché riproduce, in tutta la sua semplicità, la giornata tipo di un mondo sommerso seppur affollatissimo. Un mondo dove anche i diritti più scontati possono essere una conquista straordinaria e la dignità un lusso che in pochi possono permettersi. Guardando le prostitute nigeriane di Silhouette, i ragazzi albanesi che vivono alla giornata di Euglen & Gertian o l’egiziano benzinaio abusivo di Self Service, si scopre una realtà, non solo drammatica, ma sfruttata nella maggior parte dei casi o ignorata per i rimanenti.
“Terra di mezzo” provoca lo spettatore, non solo mostrando come gli immigrati vivono, ma evidenziandone la totale mancanza di integrazione. Il tema centrale è proprio questo, sia in “Terra di mezzo”, che in altri film come “Ospiti” (del 1998). Alla base di tutto, non vi è altro che i rapporti umani, le relazioni che intercorrono tra le persone. A film finito, non resta altro se non la comprensione di come l’emarginazione sia un fattore ben sviluppato e radicato, soprattutto in Occidente. Però, emarginazione non solo dello straniero, ma anche ‘dell’italiano diverso’ (come il portiere con la moglie disabile in “Ospiti”)
Certo, non non vi è identità tra mafia e immigrazione (ovviamente nel senso settoriale) o tra il cambiamento culturale di “Reality” e l’emarginazione, ma seppur poco evidente, la centralità dei temi di Garrone riguarda la realtà che viviamo. Anzi, forse non sarebbe da escludere una consequenzialità degli avvenimenti.
Osservatore e critico della realtà, Garrone è sicuramente un regista unico, che sa mostrare nei suoi film temi, non solo scomodi (e sicuramente con poca risonanza tra il grande pubblico) ma anche sempre molto attuali. La sua lettura e visione della realtà, è un importante stimolo culturale e di comprensione dell’attualità. Attraverso la sua cinepresa, vediamo dove ci stiamo dirigendo.
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I film di Matteo Garrone sono belli e tutti miranti a dare un significato, un messaggio. Ho molto apprezzato L’imbalsamatore, Gomorra, Reality… E’ giovane, il regista romano, ma già pieno di talento.
gilbtg da Barra