Alla vigilia del voto negli Stati Uniti, il dibattito sui candidati presidente Obama e Romney si è fatto sempre più acceso. Sono scesi in campo esponenti di ogni realtà sociale per sostenere l’uno o l’altro candidato e tra loro non sono mancati rappresentati del cinema, come il ‘romneyano’ Clint Eastwood o come Richard Gere, da sempre vicino ad Obama.
Se fino ad un anno fa si diceva assolutamente soddisfatto dell’operato dell’attuale inquilino della Casa Bianca (“Obama ha fatto un lavoro straordinario – dichiarava Gere – e sarà ricordato con uno dei grandi presidenti americani”), da qualche mese ha deciso di sottolineare anche i suoi errori.
Primo fra tutti la politica bellica ed il sacrificio di tanti soldati americani. Alla domanda di un giornalista di Salon, nel settembre scorso, in merito ad eventuali fallimenti nell’operato del presidente, l’attore aveva risposto: “Penso che passerei per pazzo se dicessi che Obama ha soddisfatto tutti. Sono in linea con quello che sta facendo, certo. Ma nello specifico, noi abbiamo soldati là fuori che muoiono in guerre che non si possono vincere. E’ folle.”
Ora, in occasione dell’uscita del nuovo film Arbitrage, un thriller sull’alta finanza, conferma i suoi dubbi, come riporta Pubblico. Non teme Romney: “E perché? Non esistono più, anzi non sono mai esistiti buoni e cattivi, il mondo non si divide in bianco e nero. No, Romney non mi fa paura, non è un mostro, ma mi auguro comunque che non vinca: non sarebbe un bene per il paese”.
Eppure Gere suggerisce ad Obama di tornare alle origini, riprendendo il percorso iniziale: “Proprio quello che voleva prendere Obama quattro anni fa: spero diventi il presidente che lui stesso, in quella campagna elettorale, voleva essere. Capiamoci, non sono completamente critico verso il suo operato, ha fatto bene in alcuni frangenti: il punto è che non posso ignorare che abbiamo ancora militari in Medio Oriente, ad esempio”.
L’attore buddista ammette anche le difficoltà che il presidente in carica ha dovuto superare: “Spesso sono stati respinti provvedimenti giusti solo per il tifo contro di lui. Il suo spazio d’azione si è progressivamente ristretto, come la sua libertà. Tanti sono stati i compromessi, tanti i rifiuti ai suoi progetti. Ma rimane il Presidente degli Stati Uniti, non bastano queste giustificazioni: tra i suoi compiti c’è anche quello di superare questi ostacoli, per quanto alti possano essere”.
Paola Totaro
Profilo dell'autore
- Dal 2011 raccontiamo il mondo dal punto di vista degli ultimi.
Dello stesso autore
- Americhe20 Dicembre 2024Usare l’AI per ridare un’identità a 10 milioni di schiavi afroamericani
- Centro e Sud America20 Dicembre 2024Capoeira, la ‘danza’ che preparava gli schiavi alla libertà
- Nord America19 Dicembre 2024La vita straordinaria di Elizabeth Miller, da Vogue a reporter di guerra
- Europa19 Dicembre 2024La doppia vita di Solomon Perel, nella Hitlerjugend per sopravvivere all’Olocausto