Russia, caso Magnitsky: foto della cella alimenta sospetti contro Putin

Una semplice fotografia, riportata sul Daily Mail, riporta prepotentemente all’attenzione dell’opinione pubblica, nonché alla memoria collettiva, la storia di Sergei Magnitsky. Ritrae una cella infestata da escrementi, ratti, insetti e larve, in cui uomini seminudi, colti in un macabro affronto alle loro vergogne, subiscono la vessazione della malnutrizione, dell’abbandono e dell’isolamento.

È una foto di una cella della Russia dei nostri giorni, rimbalzata sulle bacheche dei social network, sui siti dell’informazione on line e sugli spazi dei collettivi nati a sostegno delle Pussy Riot, la band punk moscovita colpevole di aver cantato il dissenso contro Putin. E la storia che richiama è quella triste di un uomo, un giovane avvocato 37enne, che aveva denunciato il radicato e intricato sistema di corruzione interno al gigante dell’energia Gazprom.

La vicenda, appunto, di Sergei Magnitsky, e dell’accusa ascrittagli, subito dopo le denunce coraggiosamente avanzate, di frode fiscale e della conseguente incarcerazione. Una storia epilogata nella morte, nel 2009, a causa di un malore cardiaco, stando alle versioni ufficiali. Una morte causata dal massacro subito in cella dalle forze penitenziarie, invece, secondo i sospetti dell’opinione pubblica.

Sospetti che, in questi giorni, a distanza di tre anni, e grazie a un articolo e alla foto ad esso correlata, sembrano più che avvalorati: il carcere moscovita di Matrosskaya Tishima ha le sembianze di un lager, in cui Magnittsky, stando a quanto scritto dal magnate Bill Browder, autore dell’indagine e del pezzo di denuncia, sarebbe stato costretto a mangiare cibo avariato, “servito” in piatti infestati dagli scarafaggi.

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Le condizioni degli uomini ritratti fanno credere, inoltre, alla tesi delle torture e delle violenze fisiche. Quanto basta al dipartimento dell’inchiesta del Ministero degli Affari Interni della Russia per avviare la procedura di indagine, con un dossier che sarà passato al procuratore con un solo obiettivo: firmare l’atto di accusa.

Il caso Magnitsky, la riapertura di una ferita fino in fondo mai rimarginatasi, ha portato anche alla “ripresentazione” di una petizione al presidente degli Stati Uniti, con cui i firmatari stanno chiedendo l’applicazione di sanzioni contro la Russia sino a quando non verranno individuati e condannati i colpevoli e di bloccare, inoltre, eventuali conti finanziari dei responsabili.

Per ora, l’unico imputato per questo delitto è il direttore del carcere. Sono in molti a sostenere, però, il coinvolgimento, nell’operazione, anche del Cremlino. Che, nonostante la mobilitazione collettiva, e un’informazione sempre più incalzante, sceglie di non replicare.

Emilio Garofalo


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