Sono passati poco più di vent’anni da quando Zucchero si ripromise di cantare a Cuba. A Mosca, nel clima stimolante post caduta del muro di Berlino il cantante aveva portato la propria musica per celebrare il nuovo corso. “Un concerto così lo farò a Cuba” disse.
Uomo di sinistra, grande estimatore della Revolución di Fidel e del Che, da sempre Zucchero si è fatto portavoce di molte campagne di sensibilizzazione a favore di coloro che soffrono e sono discriminati. Celebri le sue collaborazioni con Pavarotti, Bono degli U2, Jovanotti e diversi altri.
Dopo molti anni, ecco che per il cantante l’antico sogno si è avverato: all’Havana l’8 dicembre ha tenuto infatti un concerto (a porte chiuse) all’interno dell’Istituto Superiore dell’Arte. “Per me è un piacere ed un onore essere qui a Cuba, per la sua gente, la sua storia e la sua cultura”, ha assicurato il cantante in un’intervista mandata in onda dal telegiornale. Cuba, naturale teatro per presentare il suo ultimo album, “La sesion cubana”, un mix di brani celebri, cover e qualche inedito, registrato proprio a l’Havana.
Ci si sarebbe aspettati, da uno come lui, con i suoi trascorsi ed ideologie, che nell’importante occasione, spendesse almeno una parola in favore dei dissidenti dell’isola. Un segno di vicinanza a tutti quelli che, a causa della propria ribellione al regime, pagano il costo di aver espresso il proprio pensiero.
Ma Zucchero ha preferito evitare. Profonda amarezza per la decisione del cantante è stata espressa da Amnesty International, a nome di tanti cubani, nonostante l’organizzazione avesse espressamente invitato il cantante a farsi portavoce degli oppressi.
“A Zucchero chiediamo perché non spende una parola per gli intellettuali e per i dissidenti che lottano per la libertà a Cuba? Sono loro il vero mito oggi”.
Alle polemiche Zucchero risponde dichiarandosi super partes “Ho fatto un concerto per il popolo cubano e basta, non faccio politica. Mariela Castro, figlia di Raul, mi aveva chiesto di accennare sul palco ai cinque cubani arrestati negli Usa e le ho detto di no”.
Ma stridono le foto del cantante con il Ministro della Cultura cubano Fernando Rojas, l’artefice della censura e repressione ideologica dei dissidenti, proprio coloro che Zucchero ha detto in più occasioni di ammirare.
Eppure sono tanti coloro che a Cuba si trovano nella situazione di Yoani Sanchez ad esempio, blogger e giornalista cubana, nel mirino del regime, accusata di essere finanziata dagli americani in chiave anticastrista o come tanti altri difensori dei diritti umani che subiscono persecuzione giudiziaria o arresti sulla base di prove false.
Durante un’intervista rilasciata al quotidiano Granma, l’organo ufficiale del Partito Comunista Cubano, Zucchero ha parlato della grande ammirazione per la lotta cubana: “Mio padre era affiliato al Pci all’epoca di Palmiro Togliatti e quello che mi entra dalla pelle mi arriva poi al cuore. Quando eravamo all’università e, come si dice, eravamo giovani e belli, vivevamo l’epica della Rivoluzione Cubana, con Fidel e con il Che, che era già un simbolo, e Camilo Cienfuegos: ammiravamo la resistenza e la dignità del popolo cubano”.
Il cantante italiano inoltre non ama l’Occidente “Non mi piace il capitalismo né la globalizzazione che promuove: le persone pensano più ai loro affari che agli altri. Noto una mancanza di sentimenti solidali, di autenticità negli atteggiamenti. Mi spiace che ci siano guerre o aumenti la povertà, ma mi affido ai giovani, nel mio paese sento che c’è una generazione che comincia a prendere coscienza che è possibile, anzi è molto necessario, avere un mondo migliore”, e lamenta che “in questo momento la musica vada contro il sistema” perché “tutto è diventato politicamente corretto”.
Senza formulare alcun giudizio specifico, non si può non imputare allo stesso cantante le medesime mancanze. Soprattutto alla luce dei motivi che gli hanno impedito di raggiungere l’amata Cuba, se non dopo tanti anni, dal proposito espresso.
Ad Andrea Laffranchi che l’ha intervistato sul Corriere qualche settimana fa Zucchero ha infatti dichiarato: ”Pensai per la prima volta a questo concerto 22 anni fa, subito dopo lo show con cui, primo occidentale della storia, suonai al Cremlino, ma me lo hanno sconsigliato perché avrei compromesso la mia carriera americana. Ho deciso di sbattermene i cosiddetti perché a 57 anni sono appagato”.
Paola Totaro
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