Pro-ribelli o fedeli al regime di Assad? I palestinesi in Siria si raccontano

dalla pagina Facebook del collettivo

A cura del collettivo dei “Palestinesi nella situazione siriana” a Yarmouk, Damasco – ENGLISH VERSION

I PALESTINESI IN SIRIA. I rifugiati palestinesi in Siria sono distribuiti tra 13 diversi campi e 20 complessi residenziali. I numeri ufficiali e le statistiche a cui si riferiscono l’UNRWA e la Commissione generale per i rifugiati arabi palestinesi (GCPAR) sono rappresentativi per difetto. Le statistiche più recenti dell’UNRWA, risalenti all’inizio del 2012, mostrano un totale di 487mila rifugiati. Questo numero è parziale e rappresentante per difetto – come citato sopra – perché non considera i rifugiati scappati in Siria nel 1956, nel 1967, e nel biennio 1970-1971.

Dopo l’inizio del conflitto siriano i palestinesi, in molte città, si sono trovati proprio nel mezzo dei combattimenti. I campi – che sorgono in aree dove la condizione socio-economica è tra le più basse del Paese – sono diventati un rifugio per i siriani, per i feriti e per i profughi interni (per la lunga tradizione di organizzazioni palestinesi presenti nella società civile e per i forti legami intessuti nella comunità). Quando le rivolte hanno iniziato a diffondersi in queste aree, era inevitabile che venisse toccata anche la società palestinese.

IL CONFLITTO INVADE I CAMPI. Per molto tempo – cioè fino a quando i palestinesi sono riusciti a rimanere estranei al conflitto – i campi stessi sono stati considerati un riparo sicuro. Poi, alcuni mesi fa, anche i campi profughi palestinesi sono diventati teatro di conflitto. Molteplici sono le ragioni, quelle elencate sono solo alcune:

• La strategia del regime siriano di attaccare qualsiasi attività umanitaria e tutte le persone coinvolte con questo supporto;

•Il tentativo del regime siriano e del suo sistema di sicurezza di diffondere la crisi criticando le proteste e le sollevazioni e dirottando l’attenzione su elementi esterni, con lo scopo di reprimerle ed eliminarle una volta per tutte;

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• La svolta filo-regime del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina – Comando Generale, guidato da Ahmed Jibril, in contrasto con le altre fazioni palestinesi, che hanno invece preferito adottare un’iniziale neutralità nei confronti del regime (così come fanno con tutti i regimi arabi);

• Lo status vulnerabile dei palestinesi in quanto rifugiati;

• Il crescente numero di vittime civili, la distruzione di intere aree residenziali e l’intensificazione della guerra;

• L’importanza significativa, da tutti i fronti attivi in questa guerra, di coinvolgere attivamente la società palestinese.

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 LA REPRESSIONE. Dal luglio 2012 i campi palestinesi sono attaccati dal regime siriano su base quotidiana. In particolar modo il campo di Yarmouk – capitale della comunità palestinese in Siria con oltre 150mila rifugiati accertati – ha visto distruzione, uccisioni, detenzioni e bombardamenti. I luoghi attaccati sono aree residenziali, scuole utilizzate come rifugi e ospedali.

Sono documentate almeno 790 uccisioni di palestinesi finora e la maggior parte di loro sono stati uccisi dai bombardamenti e non da proiettili sparati durante proteste o da fuoco incrociato. La proporzione è simile a quella dei siriani e la percentuale di palestinesi uccisi è la più alta tra le minoranze in Siria.

Le infrastrutture nei campi sono state pesantemente danneggiate, l’assenza di elettricità sta riguardando principalmente i palestinesi (non si sa per quale motivo non vengono rispettate le loro condizioni di vita come siriani) con tagli che superano le 20 ore consecutive, il diesel e il gas non ci sono, la penuria di cibo è più che evidente. Nello specifico, il pane è scarso, mancano molte attrezzature mediche, le telecomunicazioni e internet sono spesso fuori uso, i prezzi sono più alti che mai e la disoccupazione ha superato il 50% (senza considerare le tante attività commerciali chiuse perché tenerle aperte rappresentava un rischio troppo grande).

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Il campo di Yarmouk, che è diventato la meta principale degli sfollati siriani che lasciano la violenza delle loro regioni, è ora tra i più significativi obiettivi del regime siriano. E’ evidente che chiunque offra aiuto alla popolazione è considerato un nemico (il 23 marzo 2011 venne ucciso un primo palestinese a mentre prestava un primo soccorso a un siriano ferito nella città di Daraa al Mahata).

Dal luglio 2012, quando si sono intensificati gli attacchi, il campo di Yarmouk ha offerto rifugio a più di 50mila sfollati, principalmente siriani. Associazioni locali, con risorse limitate, si sono messe insieme per offrire assistenza e sostegno a queste persone. Noncuranti dei pericoli e dei grandi rischi (ad esempio l’uccisione delle loro stesse persone, con alta percentuale di donne e bambini).

L’ultimo “incidente” nel campo di Yarmouk è avvenuto il 16 dicembre quando aerei da guerra del regime hanno bombardato il cuore del campo stesso, centrando diverse scuole e la moschea di Abdel Qader. Istantaneamente sono state uccise 25 persone (questo numero è quello ufficiale diffuso poi dai mezzi di comunicazione principale, anche se purtroppo diverse stime ritengono che le vittime siano in realtà oltre 100, essendoci molti cadaveri non identificati ed essendo diversi corpi disseminati in mille pezzi.

Dopo questo attacco sono continuati i bombardamenti e gli scontri. Oltre la metà della popolazione ha abbandonato il campo nei due giorni seguenti. I negozi e gli ospedali (a causa della mancanza di personale medico e di attrezzature) hanno totalmente sospeso le proprie attività e operazioni, rendendo la situazione umanitaria davvero terribile. In aggiunta a questo, ed avendo l’ESL (Esercito Siriano Libero) preso possesso dell’area, i civili sono vittime dei cecchini posizionati vicino agli ingressi e delle forze del regime attorno al campo. Gli altri civili sono bloccati, gli sfollati vengono sistemati in rifugi temporanei in altre zone di Damasco in condizioni di vita tremende. E siamo solo all’inizio.

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traduzione di Valerio Evangelista


Profilo dell'autore

Valerio Evangelista
Valerio Evangelista
Dal suo Abruzzo ha ereditato la giusta unione tra indole marinara e spirito montanaro. Su Frontiere, di cui è co-fondatore, scrive di diritti umani e religioni.

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