“L’Unione internazionale delle telecomunicazioni (ITU) riunirà le autorità di regolamentazione di tutto il mondo per rinegoziare un trattato relativo alle comunicazioni in vigore da decenni. Alcuni di questi governi cercheranno di approfittare di un incontro a porte chiuse che avrà luogo a dicembre per regolamentare Internet ma non tutti i governi sostengono la rete Internet libera e aperta. C’è un crescente giro di vite nei confronti della libertà di Internet. Quarantadue Paesi filtrano e censurano i contenuti. Solo negli ultimi due anni sono state promulgate da alcuni governi 19 nuove leggi che minacciano la libertà di espressione online”.
L’allarme lanciato da Google tramite la sua iniziativa “Take Action” fa riferimento al meeting mondiale dell’ITU che ha avuto luogo il 3 dicembre a Dubai, conferenza nella quale il diritto di voto sulle proposte di regolamentazione della rete è riservato ai rappresentati dei governi dei paesi partecipanti.
Tra le varie proposte discusse le più importanti (e allarmanti per gli utenti del web) sono quella di passare le chiavi del controllo del web dall’attuale sistema di governance della Rete alla gestione dei singoli governi nazionali e quella di creare un nuovo sistema di tariffazione del traffico online che dia la possibilità agli operatori delle telecomunicazioni di imporre nuovi costi di servizio ai fornitori di contenuti in base al volume di traffico generato.
Un’ulteriore nota preoccupante riguarda l’applicazione delle nuove regole che avverrebbe non solo a livello dei grandi colossi delle telecomunicazioni ma in maniera capillare arrivando a poter controllare le singole reti wi-fi domestiche, tutto questo secondo la proposta di liberalizzazione dell’utilizzo del DPI (deep packet inspection), uno strumento che permetterebbe in caso di necessità d’ispezionare a fondo il traffico normalmente criptato degli utenti privati.
L’allarme di un imminente bavaglio a internet al momento sembra comunque essere rientrato, secondo quanto afferma Jack Goldsmith sul blog di Lawfare, le proposte dovrebbero infatti essere approvate per consenso implicando l’accordo della maggioranza dei 193 Paesi partecipanti, evento alquanto difficile a verificarsi. Inoltre, anche nel caso in cui ciò dovesse accadere, le norme dell’ITU non sarebbero immediatamente vincolanti nei singoli Paesi bensì andrebbero inserite all’interno delle rispettive normative nazionali.
«In breve, gli ITRs sono difficili da emendare; se emendati, non diventano automaticamente esecutivi, l’ITU non può costringere alcuna nazione a fare ciò che non vuole fare», riassume Goldsmith rimanendo scettico sul fatto che la conferenza di Dubai possa effettivamente riuscire ad apportare cambiamenti radicali alla governance di internet.
Federica Cuccia
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