Kafar Bir’em è un piccolo ex villaggio cristiano in Galilea, nell’odierna parte nord di Israele, a pochi chilometri dai confini con il Libano. Questo minuscolo villaggio e la sua popolazione hanno però sulle proprie spalle una storia di sopraffazioni, soprusi e ingiustizie. L’ultima di queste accaduta la scorsa settimana.
Le tristi vicissitudini di questo villaggio, dopo essere stato per molti anni territorio pacifico di agricoltura per circa 850 agricoltori palestinesi cristiani di confessione maronita, comincia nel 1948. Il 13 novembre 1948 gli abitanti di Kafar Bir’em, durante il periodo della Nakba, vengono espulsi forzatamente da questo villaggio, per paura di infiltrazioni da questo villaggio delle forze armate libanesi, con la promessa però di poter presto ritornare nei loro territori.
Ma questo impegno non fu mai mantenuto, tanto che nel 1953 il villaggio è stato quasi interamente distrutto dall’aviazione israeliana, nonostante i continui ricorsi davanti ai più diversi tribunali che hanno avuto esito positivo. Il motivo di questo regolare rifiuto delle autorità israeliane ha lo scopo di non creare un precedente che poi possa essere utilizzato dai profughi palestinesi per un ipotetico ritorno alle proprie terre colonizzate.
Il solo risultato ottenuto dalle battaglie legali degli ex abitanti di Kafar Bir’em è la possibilità per gli abitanti di recarvisi, a partire dal 1967, per le celebrazioni religiose negli unici edifici ancora in piedi del villaggio: il cimitero e la Chiesa di Nostra Signora. E proprio in questi luoghi, secondo quanto riportato da 972mag.com , che la scorsa settimana, pochi giorni dopo le ricorrenze natalizie, sono apparsi dei scritte, graffiti e adesivi razzisti e blasfemi ed è stato ritrovato inoltre del liquido infiammabile che era stato versato all’entrata della chiesa. La comunità degli ex abitanti di Kafar Bir’em ha subito sporto denuncia ma, a oggi, i responsabili di quest’azione non sono ancora stati identificati.
Le tombe del cimitero e l’interno della chiesa sono state ricoperte di scritte come “Vendetta”, slogan offensivi e adesivi razzisti. Deeb Maroun, membro del comitato degli ex abitanti afferma: “Questa è la seconda volta nel giro dell’ultimo che accadono cose come questa.” – infatti questo villaggio non è nuovo ad attacchi vandalici di questo tipo – “ci sembra di assistere ed esser parte di una brutta peste che sta spazzando via il paese”.
Stefano Zambon
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