Domani, 28 gennaio, si terrà a Mosca l’udienza preliminare nei confronti di Sergei Magnitsky. L’avvocato aveva denunciato apertamente la corruzione ad alti livelli del sistema politico russo. Il procedimento era già stato chiuso, ma una sentenza della Corte Costituzionale del 2011 prevede che nel caso in cui “un sospetto su cui sono in corso indagini o un imputato sotto processo deceda prima della fine del procedimento penale, la famiglia ha il diritto di chiedere che si vada avanti per ottenere la riabilitazione del congiunto”.
Sì, avete letto bene. Si parla di imputato deceduto. Sergej Magnitsky è morto nel novembre del 2009. Su di lui, l’accusa di frode fiscale, l’arresto e un grande mistero sulla sua morte. Ufficialmente si è trattato di arresto cardiaco, ma si sospetta sia stato torturato a morte in seguito alla sua denuncia sul sistema di corruzione all’interno di Gazprom, il colosso energetico russo. Una truffa da 5,4 milioni di rubli.
Arrestato, trascorse 358 giorni di carcere preventivo, durante i quali fece sentire la sua voce in tutto il mondo. Spedì lettere all’amministrazione penitenziaria, all’ufficio del procuratore, in tribunale, denunciando come lo stavano trattando. Maltrattamenti, pressioni psicologiche, il diniego di cure mediche nonostante la sua condizione fisica precaria, tutto veniva riportato nelle sue missive. Ma non è servito a nulla. Solo il 16 novembre, dopo l’ennesimo attacco di dolore causato dalla sua pancreatite acuta, le autorità penitenziarie si convinsero del suo malore e lo trasferirono in una struttura ospedaliera, sempre penitenziaria ma in teoria in grado di curarlo. Al suo arrivo però, ad aspettarlo, non c’erano medici o infermiere, ma manette, manganelli e una cella di isolamento. Morì poche ore dopo.
Dopo mesi di appelli da parte delle principali organizzazioni per i diritti umani, le autorità giudiziarie russe aprirono un’inchiesta che vide l’incriminazione di due medici. Il primo è stato assolto nel 2012 mentre per l’altro è intervenuta la prescrizione.
Il processo quindi viene riaperto contro il colpevole sbagliato e senza nessuna richiesta da parte della famiglia che anzi, “vorrebbe l’incriminazione e la punizione di coloro che lo perseguitarono e ne causarono la morte. Persino da morto Magnitsky è vittima di una violazione dei diritti umani, come il diritto a potersi difendere personalmente in giudizio. Il processo nei confronti di una persona morta e il coinvolgimento imposto ai suoi familiari costituiscono un pericoloso precedente, che potrebbe aprire un nuovo capito nella deteriorata situazione dei diritti umani in Russia” ha spiegato Johm Dalhuisen, direttore del Programma Europa e Asia centrale di Amnesty International.
Ed è la stessa Amnesty International a chiedere alle autorità russe di porre fine al procedimento postumo nei confronti dell’avvocato Sergej Magnitsky a favore di un’inchiesta che indaghi in modo corretto e concreto sulle vere cause del suo decesso, facendo finalmente giustizia.
Ilaria Bortot
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