Alla scoperta di Yerevan, città tra fascino e inganno

di Cristina Mancigotti

A gennaio, Yerevan si sveglia molto lentamente. Nella ore mattutine,quando i primi raggi di sole lambiscono il profilo degli edifici sovietici, l’aria è tanto fredda da dare l’impressione che ferisca la gola nel respirare. Il torpore avvolge le strade, il vero teatro del risveglio della capitale armena. Fra di esse gli uomini, nei loro cappotti e berretti rigorosamente scuri, camminano svogliati a gruppetti.

Le donne, instancabilmente perfette nel trucco e acconciatura, paiono incuranti del ghiaccio e della neve nonostante i tacchi impossibili. Le “babuska” (“nonnine”) sono già a pulire sull’uscio di casa, munite della loro fedele saggina. Le marshutka, il mezzo di trasporto più popolare, iniziano correre nel pazzo traffico armeno e riempirsi di persone per l’esigua cifra di 100 dram, 0,20 cent. Durante l’utilizzo delle marshutka, quando si è intenzionati a scendere, é sempre bene ricordarsi di dire al conducente “kangarum kangnek” (“fermati alla stazione”): se non viene detta per tempo da nessuno nella vostra marshutka e nessuno é interessato a salire, si è pur certi che si continuerà la corsa.

Come conosco questa frase che mi evita di perdermi nella periferia di Yerevan?
E’ da ormai tre mesi, con la prospettiva di restarvi altri quattro, che abito a Yerevan grazio al Servizio Volontario Europeo. Questa opportunità, promossa dalla Commissione Europea, permette a giovani europei e non-europei dell’età compresa fra 18 e 30 anni di trascorrere un periodo all’estero in Europa e al di fuori dell’Europa, come nel mio caso. A Yerevan collaboro con una Organizzazione Non Governativa, la Civil Society Institute, che si occupa della tutela dei diritti umani e promuove attività di Peace-Building.

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Di questi tre mesi, tre cose vi posso dire su Yerevan: inganna, affascina, aspetta.

Yerevan inganna. Se nel centro città, come ad Opera o Republic Square, ci si può sentire in una capitale europea, pochi passi ci separano dalla realtà caucasica, dove nelle shuka (i mercati locali) si riesce a trovare di tutto. Dal vestiario agli utensili, si passa alle bancarelle colme di frutta, verdura, formaggi, spezie, pani, dove si è invitati ad assaggiare e successivamente, se si ha una conoscenza basica di armeno o russo, a contrattare il prezzo quasi sempre rincarato per gli stranieri.

 

Fuori dal centro città, più in là della shuka, stradoni desolati che nulla hanno a che fare con la ricca Northen Avenue, sono innumerevoli gli edifici abbandonati , costruiti o demoliti solo a metà, dimenticati e parte di un passato non troppo lontano.
Yerevan inganna anche nella sua percezione del tempo: se un armeno vi dice che vi richiamerà in due minuti, non state a guardare il cellulare. Molto probabilmente vi richiamerà in una mezz’ora.

Yerevan affascina. Affascina nelle insegne e pubblicità di un alfabeto di 36 lettere, concepito dal teologo Mashots per ricoprire la variegata gamma dei suoni della lingua armena -molti dei quali rappresentano una vera sfida per un madrelingua italiano.
Se si escludono le tre lettere aggiunte a posteriori, l’ordine delle lettera è tale da formare una piramide con i tre cardini della confessione locale, la Chiesta Apostolica Armena: Kristos, Astuats, Supb Horgin (Cristo, Dio, lo Spirito Santo).

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Yerevan affascina nelle sue chiese e monasteri, dove ci si può sentire parte della storia nell’entrare in edifici antichi del V secolo a.C. , con la triste consapevolezza che alle volte questa antichità mal vengono apprezzate da alcuni locali: edifici storici spesso vengono demoliti per fare posto a più moderne e sterili strutture. Ma soprattutto, Yerevan affascina nella sua cultura della collettività e ospitalità, dove non esiste il singolo ma una grande famiglia che si aiuta vicendevolmente e tutto viene condiviso.

Yerevan aspetta. Aspetta di essere scoperta: dall’Europa, che sempre più mostra il suo interesse e impegno nella realtà del Caucaso; dall’Italia, amatissima a Yerevan e dagli armeni; e da me, in questo mio tempo rimanente. Yerevan aspetta di essere scoperta, sì, ma soprattutto la sua sfaccettata tradizione, frutto della sua intensa e lunghissima storia, dai suoi aspetti così vicini e così lontani dalla cultura italiana.

Per ciò che mi riguarda, ciò che aspetto al momento sono le prossime elezioni presidenziali, che si terranno il 18 febbraio. Elezioni di cui si è tanto parlato per il loro possibile rimando, dato l’attentato alla vita di uno dei candidati, Paruyr Hayrikian. Che ciò possa mettere in discussione la ri-elezione del presidente attuale, Serzh Sargsyan, dato dall’opinione pubblica come vincitore?



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