Intervista a Brazzoduro, il prof della Sapienza che smonta le leggende sui rom

In Italia, rom, sinti e camminanti costituiscono una minoranza linguistica e culturale storica, anche se ancora non riconosciuta dalla legislazione nazionale. Attualmente, alle comunità storiche si sono aggiunte le comunità rom di più recente migrazione provenienti dai Paesi dell’ex Jugoslavia e dalle nazioni di più recente adesione all’Unione Europea. Ma chi sono i rom che vivono in Italia? Che lavoro fanno? Dove abitano? Abbiamo chiesto al professor Marco Brazzoduro, docente di Politiche sociali e sanitarie alla Facoltà di Scienze statistiche dell’Università “La Sapienza” di Roma, di aiutarci a capire meglio questo popolo.

 di Simona Hristian

Nell’immaginario collettivo i rom sono dei parassiti sociali, che puzzano, rubano, sfruttano i bambini e rifiutano di inserirsi nella società. Lei che si occupa da tempo di questo tema e conosce personalmente i rom, che idea si è fatta?
I rom sono esseri umani come tutti gli altri con identici pregi e difetti. Ci sono rom belli e brutti, simpatici e antipatici, onesti e disonesti, intelligenti e stupidi, ricchi e poveri. Quelli che vivono in quel vergognoso inferno che sono i campi costituiscono una minoranza. Sottolineo vergognoso, ma per noi che tolleriamo quelle condizioni inumane, violatrici di diritti umani fondamentali. Si stima che nei campi vivano il 20% del totale dei rom in Italia. Ma sono i più visibili. La loro condizione è quella della povertà estrema. Non è vero che rifiutano di inserirsi. La prima cosa che mi domandano quando entro nei campi è: “Mi trovi un lavoro?” Non è vero che sfruttano i bambini nel senso che li obbligano a elemosinare o a rubare. Lo fanno per tradizione ma una tradizione che affonda le sue radici nella povertà: si è sempre fatto così ed è quindi naturale che i bambini seguano l’esempio dei fratelli più grandi. Anzi i bambini sono orgogliosi di contribuire, spesso in maniera determinante, al ménage familiare. Puzzano? Ovviamente se non hanno l’acqua per lavarsi o se hanno un solo vestito. Quelli che hanno l’acqua si fanno la doccia tutti i giorni e magari usano profumi.

Come tutti i migranti, anche i rom devono seguire un iter burocratico per inserirsi nella società italiana: per affittare una casa serve un lavoro, per poter lavorare serve un permesso di soggiorno/iscrizione anagrafica, per avere il permesso di soggiorno si deve avere un domicilio e un lavoro. Un circolo vizioso da cui difficilmente si riesce ad uscirne. Quanti rom ce la fanno?
Pochi. La base di tutto è il lavoro. Ma chi assume un rom o una romnì ? Nessuno li assume e poi la colpa è loro che non vogliono lavorare! Un dimostrazione di scuola del meccanismo di colpevolizzazione della vittima.

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I rom entrati in Italia come richiedenti asilo hanno ottenuto lo status di rifugiati o l’apolidia? Quelli nati qui (di seconda –terza generazione) hanno ottenuto la  cittadinanza italiana?
Pochi hanno ottenuto l’apolidia perché è un percorso lungo e costoso e l’orizzonte dei rom è di breve termine: devono sopravvivere giorno per giorno. Quelli nati in Italia possono ottenere la cittadinanza al 18° anno se dimostrano di possedere la residenza legale continuativa dalla nascita. C’è sempre qualche buco.

Rispetto ad altri migranti soggiornanti in Italia, i rom sono considerati un’emergenza sociale. Come e perché è nato il Piano nomadi?
L’attuale sindaco di Roma si è fatto eleggere puntando sul consenso ottenuto agitando lo spettro della xenofobia e dell’anti-ziganismo. Il Piano nomadi (ma nomadi chi ? I rom non lo sono da generazioni!) varato sulla scorta delle ordinanze firmate da Berlusconi nel 2008 sull’Emergenza Campi nomadi, mirava a concentrare tutti i rom in 13 campi autorizzati, eliminando 14 campi tollerati e 200 campi spontanei. Un’idea sbagliata in origine. I campi sono ghetti etnici, veri e propri luoghi di segregazione razziale. Una vergogna.

Considerando che i rom dell’ex Jugoslavia e della Romania erano stanziali, vivevano in case e avevano un lavoro, perché in Italia si è deciso di considerarli nomadi?
Perché ha trionfato l’ignoranza e l’autoritarismo repressivo e razzista.

Cosa s’intende per “campi nomadi”? Come sono nati?
Sono nati negli anni ’80 perché erroneamente si è ritenuto che quella fosse la modalità abitativa tradizionale dei rom che in quanto “nomadi” si spostavano di luogo in luogo. Il nomadismo – storicamente una risposta culturale alle persecuzioni – è risorto con gli sgomberi forzati, un’aperta violazione del diritto internazionale (difatti più volte l’Italia è stata condannata). A Milano ne sono stati eseguiti 560. A Roma proprio in questi giorni il sindaco si è vantato di averne ordinati 1000. Un segnale eloquente del degrado morale di certe nostre istituzioni che scaturisce proprio da questi eventi e dichiarazioni. Si vantano di atti di gratuita violenza contro individui inermi colpevoli solo di essere poveri, invece di vergognarsene.

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I Comuni investono molti soldi per la gestione dei campi rom,  che appaiono come un’alternativa migliore alle baraccopoli/insediamenti spontanei.  Allora perché i rom si oppongono agli sgomberi degli insediamenti “abusivi” e rifiutano di trasferirsi nei campi “attrezzati”?
I soldi non vanno a finire nelle tasche dei rom. Attorno alla questione rom è nata una vera e propria industria che dà lavoro a 450 persone (guardania, pulizia, operatori sociali, acquisto di container, infrastrutturazioni). I campi attrezzati, dal lugubre aspetto di campi di concentramento, sono dislocati lontano dalla città costruita. I rom, che nei campi tollerati avevano costruito rapporti sociali ed economici col quartiere di insediamento, si vedono collocati in campi lontani da tutto (scuole, ospedali, mercati uffici). La loro condizione abitativa migliora solo perché hanno il bagno e la cucina interni ma gli spazi sono molto più ridotti e i container sono addossati gli uni agli altri. In più la struttura sociale dei rom è fondata sulla famiglia allargata (fino a 50 persone): non gradiscono la costrizione a vivere con altre comunità con le quali spesso entrano in conflitto.

Secondo Lei, è possibile il “superamento” dei campi rom a Roma e in Italia?
Non solo è possibilissimo, basta volerlo, è anche un imperativo etico.

Una delle accuse più sentite verso i rom riguarda i bambini coinvolti nell’elemosina e nell’accattonaggio. Come spiega il fallimento del programma di alfabetizzazione? Quanto incidono l’ubicazione dei campi nelle periferie e i continui sgomberi o spostamenti?
Questo è uno dei problemi attinenti alle comunità rom. L’elemosina è purtroppo una necessità. Ma anche la scuola è una necessità altrimenti il circolo vizioso della povertà non verrà mai spezzato. Con la repressione non si va da nessuna parte. Sono anni che propongo l’erogazione di borse di studio proporzionali alla frequenza scolastica. Così se diventa conveniente andare a scuola da una parte si contrasterà l’accattonaggio che è sempre fastidioso e dall’altra si darà una spinta alla scolarizzazione.

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Cosa si potrebbe fare per favorire l’integrazione dei rom e per superare i pregiudizi ancora molto forti verso questo popolo ?
Si deve agire su due fronti. Uno è il contrasto ai pregiudizi. Questi sono tanto radicati a tutti i livelli della società italiana che il suo arginamento richiederà tempi lunghi. Come? Con l’informazione (per es. smontando il pregiudizio dei rapimenti di bambini: mai è stato trovato in un campo rom un bambino scomparso), con la promozione degli aspetti positivi dei rom (musica, danza, artigianato). L’altro fronte è quello della lotta alla miseria. Il lavoro quindi. E la casa in modo da cancellare il degrado dei campi.


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