L’islamismo in Libia, prima e dopo Gheddafi

Muammar Gheddafi

Fratelli Musulmani e Movimento per il Cambiamento: due partiti islamisti in Libia prima e dopo il Raìs.

di Alessandro Pagano Dritto

 All’apertura della dieci giorni di conferenze organizzata dalla Fratellanza Musulmana nel quartiere di Mina al Shaab di Tripoli c’era anche un ex componente del Gruppo islamico libico combattente (Libyan Islamic Fighting Group, LIFG), Sadi al Saadi: ascoltava le parole del nuovo presidente della Fratellanza, Bashir Kabti, eletto nel novembre 2012. All’assemblea Kabti parlava di quella che secondo lui doveva essere la nuova Libia del dopo Gheddafi: uno Stato democratico e civile con un «quadro di riferimento islamico», per cui ogni legge approvata non dovrà contraddire i precetti del Corano.

A poca distanza dal pubblico la corrispondente dall’estero dell’Irish Time Mary Fitzgerald assisteva anche lei allo svolgimento, dando allo stesso tempo qualche occhiata agli stand dei libri dove i lavori di Hassan al Banna, fondatore nel 1928 dei Fratelli Musulmani, erano esposti accanto alle traduzioni in arabo dei romanzi di Danielle Steele e della biografia di Steve Jobs.

Fratellanza Musulmana e Gruppo Combattente sono stati per anni, per tutta l’epoca di Gheddafi, due tra i maggiori rappresentanti dell’opposizione islamista alla verde Jammahiriyya nata nel 1969.

Due movimenti però molto diversi tra di loro per storia, ideologia e trascorsi e che mai si sono incontrati fino alla coabitazione – per altro al di sotto delle aspettative – nel Consiglio Nazionale Generale (General National Council, GNC) eletto nel luglio 2012.

Hassan al Banna, fondatore nel 1928 dei Fratelli Musulmani

Tra i due il gruppo maggiore è la Fratellanza Musulmana, che può contare su una dimensione non solo libica ma internazionale, essendo presente soprattutto nel vicino Egitto. E proprio dall’Egitto, nel 1949, vennero in Libia i suoi primi rappresentanti, che però non riuscirono a dargli una vera organizzazione politica.

Il 1969, con l’inizio del governo di Gheddafi, segnò l’inizio del periodo più difficile per questo già non bene organizzato gruppo islamista, i cui membri furono per lo più costretti a riparare all’estero o a passare gli anni nelle carceri governative. Gheddafi proponeva una propria versione dell’Islam che i gruppi islamisti non accettavano e chiunque vi facesse seria opposizione rischiava di suo. I Fratelli Musulmani erano fra questi.

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 All’estero, il gruppo di Fratelli Musulmani più attivo è il Fronte Nazionale per la Salvezza della Libia (National Front for the Salvation of Libya, NFSL), che dal 1984 al 1990 tentò senza successo alcune operazioni spalleggiate dagli Stati Uniti per rovesciare il leader libico.

Intanto operazioni di altri gruppi inasprivano le risposte del governo, che riempiva le carceri di islamisti di varia origine. Gli anni ’80 e ’90 furono infatti anni in cui Gheddafi venne messo più volte in discussione, anche a causa di un travagliato periodo per l’economia libica e di una posizione molto delicata e precaria del Paese sullo scenario internazionale. Ma Gheddafi riuscì comunque a mantenere il suo posto.

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Proprio in questa cornice le cronache libiche registrarono per la prima volta il nome del LIFG. Era l’ottobre del 1995 quando alcuni miliziani islamisti che avevano liberato detenuti dal carcere di Bengasi e provocato la risposta delle forze nazionali furono costretti ad uscire dall’anonimato in cui avevano agito per i primi cinque anni della loro esistenza.

Erano libici, ma li chiamavano «afgani». Come combattenti infatti, questi del LIFG, si erano fatti le ossa unendosi alla guerriglia talebana antisovietica in Afghanistan e una parte di loro era poi rientrata in Libia per imbracciare le armi contro un nuovo nemico, questa volta interno. Non tutti i reduci avevano fatto però questa scelta: alcuni avevano deciso di fare base all’estero, soprattutto in Inghilterra, altri di unirsi in Sudan alla nascente formazione paramilitare dello sceicco Osama Bin Laden: Al Qaeda.

Tra il 1995 e il 1998 i ribelli del LIFG e le forze governative si fronteggiarono nei monti della Libia dell’est. Derna, una delle città accusate di infoltire le fila degli islamisti, fu sottoposta alla legge marziale e subì anche il taglio dei rifornimenti idrici ed elettrici. Ma per il LIFG le cose si mettevano male: faide interne col fronte algerino e la rottura dei legami con l’intera organizzazione qaedista, insieme con la repressione del governo, privarono il gruppo di quadri importanti e lo costrinsero, proprio nel 1998, a sospendere la lotta armata.

Seif al Islam Gheddafi, figlio del Colonnello

Nei primi anni duemila il delfino e figlio di Muammar Gheddafi, Seif al Islam, aprì il dialogo con l’opposizione islamista, e quindi anche coi Fratelli Musulmani e col LIFG. Nel 2010 Seif presenziò addirittura alla presentazione di un libro con cui l’ormai ex gruppo armato spiegava le ragioni del proprio cambio di rotta e della fine della lotta contro il governo.

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Ma il febbraio 2011 cambiò improvvisamente le carte in tavola. A Bengasi il governo rispondeva con la forza alle manifestazioni dei parenti delle vittime dell’eccidio del carcere di Abu Selim, Tripoli, dove nel 1996 avevano trovato la morte un migliaio di prigionieri, in buona parte islamisti. E fu la scintilla. Una parte dell’esercito defezionò a protezione della popolazione, di fronte agli scontri alcuni degli islamisti ripresero in mano le armi e in mente i loro vecchi obiettivi. Il LIFG non ebbe mai un grande seguito, secondo stime governative all’epoca degli scontri era stato costretto alla ritirata da poco più di centocinquanta perdite; ma non bastano poco più di dieci anni a far dimenticare a un guerrigliero la guerriglia e le operazioni militari. Così all’est molte brigate si organizzarono proprio attorno a ex guerriglieri islamisti.

Anche la Fratellanza Musulmana, che nel 2005 aveva persino boicottato la prima riunione all’estero dell’opposizione a Gheddafi, questa volta è dalla parte della rivoluzione: relativamente povera anche lei di seguito interno, riesce a installare suoi uomini all’interno del «Consiglio Nazionale di Transizione» (Transitional National Council, TNC), l’alternativa di potere presto riconosciuta come legittima dalla maggior parte degli Stati occidentali e da alcuni importanti Stati arabi.

Mohammed Sawan, leader di “Giustizia e Costruzione”

Nel marzo del 2012 la Fratellanza Musulmana, che per il resto è rimasta un’organizzazione religiosa e civile, si è data anche un volto politico con il «Partito di Giustizia e Costruzione» (Justice and Construction Party): il partito non ha ottenuto molti posti all’interno del Consiglio Nazionale Generale, ma almeno è riuscito a candidarsi nelle liste di quasi tutto il paese. «Giustizia e Costruzione» è una coalizione tra candidati membri della Fratellanza e alcuni esterni al movimento che si riconoscono però nei suoi valori di fondo. Presidente del partito è stato eletto Mohammed Sawan, anche lui ex prigioniero politico di Gheddafi. Ma il vero organo dirigente è il Consiglio, la Shura, il cui funzionamento è democratico e a cui è affidato il potere esecutivo. La decisione di non essere lei stessa un partito permette alla Fratellanza Musulmana di continuare il suo operato di ente religioso e civile all’interno della società libica, occupandosi di fasce sociali come i giovani e le donne, i diversamente abili, i reduci della rivoluzione. Insomma, la Fratellanza ha bisogno di fare quello che non ha potuto fare in quarantadue anni di potere di Gheddafi: darsi una dimensione civile, oltre che religiosa.

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Più problematica appare la situazione del LIFG, che ora si è dato il nuovo nome di «Movimento islamico libico per il cambiamento» (Libyan Islamic Movement for Change, LIMC), ma che parte da una base di consenso ancora minore e più localizzata rispetto alla Fratellanza e che finora non è riuscita a siglare accordi col maggiore partito islamista. La supremazia militare non si è tramutata insomma in una supremazia anche politica e dal canto suo la Fratellanza evita di unirsi a partiti i cui trascorsi armati e clandestini potrebbero imbarazzare eventuali interlocutori esteri, soprattutto occidentali.

Entrambi i partiti sono poi accusati di essere scesi a patti col Colonnello, cosa che non gratifica certo la loro immagine. Un comportamento innegabile, ma che – spiega Abdallah Shamia sempre alla giornalista Mary Fitzgerald – fu dettato dalla necessità del momento: «Eravamo detenuti, torturati e obbligati all’esilio dal regime ma sì, dopo abbiamo deciso di lavorare alle riforme e provare ad utilizzare il piccolo spazio di tolleranza che all’epoca ci era concesso. Abbiamo pensato di poter allentare un po’ della tensione e che fare qualcosa fosse meglio che non fare nulla. Non possiamo negare di aver fatto queste cose, ma le abbiamo fatte in nome delle riforme e senza incensare il regime. L’abbiamo fatto per la Libia».


Profilo dell'autore

Alessandro Pagano Dritto
Il primo amore è stato la letteratura, leggo e scrivo da che ne ho memoria. Poi sono arrivati la storia e il mondo, con la loro infinita varietà e con le loro infinite diversità. Gli eventi del 2011 mi lasciano innamorato della Libia: da allora ne seguo il dopoguerra e le persone che lo vivono, cercando di capire questo Paese e la sua strada.

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