Le migliaia di manifestanti che oggi hanno attraversato il ponte sul Bosforo che collega l’Asia all’Europa sono l’emblema della protesta che da ieri sta travolgendo il Governo turco. Tutto è partito dal Gezi Park di piazza Taksim, occupato lunedì notte da centinaia di giovani che protestavano contro l’abbattimento di 600 alberi deciso dal sindaco di Istanbul per fare posto ad un centro commerciale, appartamenti di lusso e una moschea. Gli ambientalisti, appoggiati dai cittadini della maggiore città turca, si sono mobilitati contestando la cementificazione selvaggia e lo smantellamento del patrimonio naturalistico in corso da anni nel Paese. Ne è un esempio il colossale progetto per la costruzione del terzo ponte sul Bosforo che prevede l’abbattimento di oltre un milione di alberi nelle colline intorno a Istanbul.
Ieri le forze dell’ordine sono intervenute con cannoni spara acqua, spray al pepe e lacrimogeni per allontanare i manifestanti e consentire l’ingresso dei bulldozer. L’intervento è stato talmente violento da suscitare la reazione della popolazione cittadina che è accorsa in massa per contestare il governo turco, reo di aver deciso la repressione. E’ cosi che una semplice e pacifica protesta ambientalista si è trasformata in un una massiccia ribellione popolare.
Molto clamore ha suscitato la reazione dei mezzi di informazione turchi che hanno completamente oscurato le proteste e le violenze della polizia. Le Tv hanno infatti dato spazio solamente alle parole del premier che ha invocato il pugno duro, ”la polizia è già intervenuta e continuerà a intervenire perché piazza Taksim non può essere un’area in cui gli estremisti fanno come gli pare”, ha dichiarato il premier in tv, “bisogna garantire la sicurezza delle persone e delle loro proprietà”. Sui social network (Twitter #occupygezi) è però corsa veloce la versione dei manifestanti che in poco tempo sono riusciti a propagare le immagini degli scontri e le proprie ragioni, rendendo evidente la malafede degli organi di informazione. Manifestazioni contro il governo sono così nate spontaneamente pressoché in ogni città del paese, da Smirne alla capitale Ankara. Kemal Kilicdaroglu, leader del il principale partito di opposizione (Chp), ha risposto chiedendo ai suoi deputati di scendere in piazza a difesa dei manifestanti.
Il popolo turco sembra ora ribellarsi a quella che è stata definita la re-islamizzazione del loro Paese, decisa da Erdogan e realizzata a piccoli passi in 11 anni di governo. L’idea della Turchia come stato laico, così come voluto dal fondatore della repubblica Mustafa Kemal Ataturk, è ormai un ricordo del passato anche a causa del referendum che nel 2010 ha giustamente tolto all’esercito il ruolo di difensore della laicità delle istituzioni. La società turca non ha però sviluppato i giusti anticorpi che potessero prevenire nel Paese una nuova islamizzazione che si è puntualmente concretizzata con vari interventi legislativi: dall’ammissione dei simboli religiosi come il velo all’interno degli uffici pubblici al tentativo di proibire il consumo di alcool.
In questi due giorni sono centinaia le persone rimaste ferite negli scontri: molti manifestanti hanno riportato fratture agli arti o hanno avuto problemi respiratori dovuti all’inalazione dei gas lacrimogeni, sparati ad altezza d’uomo anche all’interno delle stazioni della metropolitana. Al momento circa 81 persone sono state arrestate dalla polizia che continua a reprimere con violenza le manifestazioni. Su Twitter si parla anche di persone uccise ma la notizia non è verificata.
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[…] Nell’ondata di proteste anti-governative che sta investendo il Paese, la polizia sta usando una repressione brutale nei confronti dei manifestanti. I morti, gli arresti di massa e i tantissimi feriti (alcuni dei quali in maniera grave) non stanno però fermando la sollevazione popolare che, anzi, si sta allargando a macchia d’olio non solo in Turchia ma anche in Europa (ad esempio per il 6 giugno è prevista una manifestazione a Milano). […]