Un rapporto dell’UNRWA analizza i dati socioeconomici del paese a due anni dall’inizio della crisi siriana
L’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi ha pubblicato la prima parte di un rapporto commissionato al Syrian Centre for Policy Research (SCPR), che mira a monitorare i dati socioeconomici della Siria dall’inizio del conflitto a oggi.
L’agenzia, istituita dall’Assemblea Generale nel 1949, ha il compito di fornire assistenza e protezione a oltre 5 milioni di rifugiati palestinesi registrati in Giordania, Libano, Siria, Cisgiordania e Striscia di Gaza al fine di raggiungere il loro pieno potenziale umano in attesa di una giusta soluzione alla loro situazione. I profughi palestinesi presenti in Siria sono oltre 500.000 e la crisi (o catastrofe come la chiama l’UNRWA) siriana sta indubbiamente pesando anche su di essi. Solo un mese fa il commissario generale dell’agenzia, Filippo Grandi, aveva dichiarato che “i profughi palestinesi sono sull’orlo di una catastrofe e che dai campi profughi in Siria (alcuni esistenti da oltre 50 anni), si stanno ora riversando nei campi profughi palestinesi in Giordania e Libano”.
Il rapporto dell’UNRWA prende in esame però in maniera approfondita la situazione socioeconomica attuale della Siria e non solo quella dei profughi palestinesi e ha lo scopo di fornire un strumento utile di pianificazione per costruire politiche e programmi di riabilitazione e sviluppo che possano aiutare la Siria a superare l’emergenza umanitaria.
Quella appena pubblicata è la prima delle cinque parti del rapporto che è stata commissionata al SCPR per monitorare i cambiamenti macroeconomici e sociali indotti dalla crisi e fa riferimento ai primi tre mesi del 2013.
La situazione che emerge è di un rapido deterioramento delle condizioni umanitarie, economiche e sociali. I dati che pubblica l’agenzia sono estremamente interessanti ma insieme altamente preoccupanti. Un importante punto che sviluppa il rapporto è quello del “costo di opportunità” che determina l’entità delle perdite economiche. L’approccio metodologico si basa su procedure controfattuali che mettono a confronto lo “scenario crisi”, ovvero gli indicatori reali durante la crisi, con lo “scenario continuativo”, gli indicatori che indicano il livello che probabilmente sarebbe stato raggiunto se la crisi non fosse emersa. Il divario tra questi due scenari equivale alle perdite socio-economiche attribuibili alla crisi.
L’analisi del SCPR ha dunque analizzato l’impatto sociale e quello economico della crisi e dal rapporto sono emersi alcuni dati di rilevante importanza. Dal punto di vista sociale, il conflitto armato ha portato in due anni alla dislocazione e alla fuga del 31% della popolazione che si è stabilito nei paesi confinanti (1,3 milioni, il 6% della popolazione). Una parte della popolazione (1,33 milioni, il 18%) ha abbandonato il paese e altri 3,92 milioni (18,3%) sono sfollati all’interno.
La soglia di povertà si è abbassata sensibilmente rispetto agli anni precenti, facendo fare un salto indietro dell’indice di sviluppo umano del paese di circa 35 anni (la media della vita si è abbassata da 76 a 68 anni). Attualmente più della metà della popolazione, 21 milioni di persone, vive al di sotto della soglia di povertà e tre milioni e mezzo di queste sono considerate estremamente povere.
I posti di lavoro persi dall’inizio del conflitto inoltre sono circa 2,3 milioni e il tasso di disoccupazione è salito al 48,8%. I prezzi sono aumentati dell’84,4% e il puond siriano è stato deprezzato del 300% nei confronti del dollaro.
La crisi ha colpito fortemente anche il sistema educativo. Circa 3.000 scuole sono state distrutte o danneggiare e quasi 2.000 altre scuole fungono da ricovero per la popolazione sfollata; la frequenza è crollata del 46% e la carenza di insegnanti è davvero un dato preoccupante.
Anche il sistema sanitario è stato indubbiamente devastato: 32 ospedali non sono più utilizzabili, così come un terzo dei centri di salute. L’industria farmaceutica è crollata e le sanzioni internazionali bloccano l’importazione di farmaci salvavita ed equipaggiamenti per gli ospedali. Il personale sanitario scarseggia anch’esso, a fronte dei quasi 100.000 morti e dei 240.000 feriti o mutilati, dall’inizio del conflitto.
Dal punto di vista economico, l’impatto della crisi sull’economia ha significato una forte de-industrializzazione e un disinvestimento su larga scala dovuto alle distruzioni, ai saccheggi e alla fuga di capitali per un danno economico complessivo di 84 miliardi e mezzo di dollari in due anni (pari al 142 per centro del PIL nel 2010) una perdita che il paese impiegherà 30 anni per recuperare, se la crisi finisse oggi. La perdita di beni di produzione rallenterà qualsiasi futura ripresa dell’economia siriana e i beni persi dovranno essere sostituiti con nuovi investimenti.
Il PIL è diminuito del 3,7% nel 2011, del 28,9 nel 2012 e del 6,8 solo nel primo trimestre del 2013, per una perdita di 38,4 miliardi di dollari, ovvero il 45% della perdita economica totale. Mentre l’economia formale è implosa vi è stata una crescita di quella “informale” a causa di imprese criminale e di una economia della violenza che affliggono e affliggeranno negli anni a venire la regolamentazione economica, le riforme, l’equità e lo sviluppo post-conflitto.
L’economia ha subito una severa contrazione anche a causa delle sanzioni internazionali che hanno giocato un ruolo decisivo nel ridurre il flusso di merci, particolarmente significativo anche per il settore sanitario che subisce carenza di una serie di importanti farmaci salvavita a causa di restrizioni commerciali. Il collasso della domanda interna (ed esterna, a causa del blocco delle esportazioni, fortemente dipendenti dalla produzione interna, dimezzatasi dal 2012), ha aggravato ulteriormente le condizioni economiche del paese.
Su alcuni settori l’impatto della crisi è stato decisamente distruttivo. Il settore turistico ha subito un rapido declino, ma è emerso invece un paradosso rivelatore del conflitto: parte del settore turistico viene tenuta a galla dalla fuga dei profughi e da centinaia di migliaia di sfollati interni (IDPs), così come dagli operatori umanitari, che stanno utilizzando i servizi precedentemente messi a disposizione dei turisti stranieri.
I settori dei trasporti, della comunicazione e quello minerario sono stati ampiamente danneggiati, così come il settore manifatturiero. La nuova struttura del PIL che emerge dalla crisi mostra come il settore agricolo sia diventato la principale fonte di valore del paese (il PIL è passato dal 17% del 2010 al 27% del 2013).
A causa dell’assenza dell’autorità dello Stato in molte regioni, si continuano a verificare violenze di ogni tipo che comprendono la tratta di esseri umani, l’uso delle armi, droga, confisca di edifici pubblici e privati, saccheggi di impianti industrali, abitazioni private, musei, scuole ed ospedali nonché rapimenti ed estorsioni. Indubbiamente diminuisce il rispetto per i diritti umani e aumenta la violenza sulle donne e sui bambini. La violenza, la paura e l’incertezza hanno spinto migliaia di cittadini a lasciare il paese e altri milioni di sfollati hanno cercato rifugio in zone più sicure all’interno in cui si è riscontrato un ritorno a forme tradizionali di solidarietà comunitaria basata sull’appartenenza o l’affinità a un determinato gruppo, clan, famiglia o etnia.
Inoltre, poiché il governo non ha una strategia di risposta alla crisi, non è stato in grado di rispondere in maniera efficace alle richieste dei settori che più hanno risentito della drammatica situazione. La crisi non è stata gestita adeguatamente e le risorse per gli sfollati e le vittime della guerra civile sono venute a mancare.
“Mentre la stragrande maggioranza dei siriani vorrebbe un po’ di sicurezza e la fine delle violenze, la distruzione scatenata dal conflitto armato, è sempre più fondata sull’intolleranza e sul fanatismo che ha danneggiato la solidarietà sociale e la fraternità e approfondito i divari sociali e culturali tra i diversi gruppi e comunità in un modo da giustificare odio e violenza verso l’altro”.
[I.T]
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