India, il lato amaro del tè e lo sfruttamento delle tribù Adivasi

foto: Karen Robinson/Panos

L’India è il paese multiculturale per eccellenza: con i suoi 1 miliardo e 270 milioni di abitanti racchiude all’interno del suo vasto territorio un vero e proprio crogiolo di popoli con lingue, culture, religioni e tradizioni completamente diverse l’una dall’altra. L’8% della variegata popolazione indiana è costituita dai cosiddetti adivasi, i discendenti delle antiche popolazioni tribali che abitavano l’India più di 3.000 anni fa. Sebbene racchiusi sotto un’unica etichetta linguistica, gli adivasi non costituiscono affatto una realtà culturalmente ed etnicamente omogenea: sono suddivisi in circa 450 gruppi, sparsi su tutto il territorio indiano, ognuno dei quali possiede una sua specifica identità ed è caratterizzato da particolari usi e costumi. Sono popoli che hanno sempre vissuto in stretta simbiosi con la natura, per la quale nutrono un profondo rispetto e da cui ricavano tutto il necessario per sopravvivere.

L’Assam è uno stato situato nell’estremo Nord-Est dell’India che, assieme al vicino Arunachal Pradesh, ospita il 7,5% di tutta la popolazione adivasi indiana. Dal momento che i due stati si trovano in una posizione geograficamente isolata rispetto al resto del paese, gli adivasi originari dell’Assam sono riusciti a mantenere abbastanza intatta la propria cultura. Tuttavia, una parte degli adivasi che vive in questo territorio è costituita da tribù provenienti da diverse zone dell’India, che si sono stabilite in Assam a partire dalla seconda metà dell’800. La storia di questi popoli è strettamente connessa a quella dell’industria indiana del té.

 L’Assam, grazie alle caratteristiche del suo territorio e alle sue condizioni climatiche, costituisce una zona ideale per la coltivazione del té, che viene prodotto principalmente nella grande pianura alluvionale del fiume Brahmaputra. Con le sue numerosissime piantagioni, l’Assam produce oggi il 65% di tutto il té prodotto in India.

La Camelia Assamica è la pianta di té tipica dell’Assam. Anche prima che venissero create le grandi piantagioni, questa pianta cresceva già spontaneamente in diverse zone della Stato. In natura la pianta può raggiungere i 20 metri di altezza ma, quando viene coltivata, si fa in modo che non cresca più di un metro e mezzo, in modo da rendere più agevole la raccolta. Quando la pianta inizia a germogliare, le sue foglie sono pronte per essere raccolte. A seconda della frequenza con cui una pianta germoglia, la raccolta può venire effettuata diverse volte in un anno. L’operazione dura circa 15 giorni e viene svolta interamente a mano, quasi esclusivamente dalle donne. Vengono raccolte in media da 2.000 a 3.000 foglie di té, che vengono subito portate nelle fabbriche accanto alle piantagioni per essere lavorate. A seconda della qualità di té che si desidera ottenere, le fasi che compongono il processo di lavorazione risultano differenti. Il famoso Té Assam è una qualità di té nero dal gusto forte e deciso, la cui lavorazione richiede diverse fasi. Le foglie vengono fatte essiccare e, mentre sono ancora morbide, vengono arrotolate su loro stesse. In seguito vengono essiccate per una seconda volta e poi macerate. Infine vengono sottoposte ad un processo di fermentazione, che verrà poi fermato attraverso un’ultima essiccazione, mediante la somministrazione di calore. Seppur in minor quantità, in Assam vengono anche prodotti té verdi e té bianchi, ottenuti senza sottoporre le foglie ad alcun processo di fermentazione.

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 La massiccia coltivazione del té nei territori dell’Assam fu avviata dalla Compagnia Britannica delle Indie Orientali, una delle più potenti compagnie commerciali europee, nel tentativo di sottrarre alla Cina il monopolio mondiale sulla produzione del té. La Compagnia arrivò in Assam nel 1826 e, nel 1837, rese operativa la prima piantagione di té. Dal 1850 l’industria del té vide una rapidissima espansione, con un enorme aumento della produzione. Vaste aree furono disboscate per creare nuove piantagioni e, ai primi del ‘900, l’Assam divenne la principale regione produttrice di té al mondo.

Per poter coltivare tutte queste piantagioni era necessario l’impiego di un grandissimo numero di persone. Poiché in Assam non c’era sufficiente forza lavoro da poter sfruttare, gli inglesi cominciarono a reclutare adivasi provenienti da diverse regioni dell’India. Questi erano tutte persone i cui territori erano stati utilizzati dai colonizzatori per la costruzione di fabbriche, la creazione di piantagioni, lo sfruttamento di risorse naturali. Per portare avanti il processo di industrializzazione del Paese, gli inglesi si appropriarono indebitamente delle terre degli adivasi, privandoli della loro unica fonte di sostentamento e condannandoli ad una vita di povertà. Per gli inglesi non fu difficile reclutare forza lavoro fra i membri di queste tribù, incapaci di adattarsi ad una società a cui non appartenevano e di trovare nuovi mezzi di sussistenza. In molti casi, tuttavia, i reclutamenti avvennero con l’uso dell’inganno e della violenza. Gli adivasi erano analfabeti e gli inglesi riuscirono facilmente a far loro firmare contratti di lavoro che prevedevano terribili condizioni di sfruttamento. Oltre alle frodi e ai reclutamenti forzati, vi furono anche diversi casi di rapimenti e di costrizione tramite tortura. Privati di ogni diritto, furono costretti a lavorare nei campi in condizioni di semi-schiavitù, senza nessuna possibilità di opporsi. All’inizio del ‘900, il numero di adivasi strappati con la forza alle loro terre raggiunse le 110.000 persone.

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Solo nel 1951, dopo che l’India ottenne l’indipendenza, il governo emise il Plantation Labour Act, una raccolta di leggi che tutelavano gli interessi degli adivasi impiegati nelle piantagioni di té. Nonostante questo, la scarsità dei controlli favorisce ancora oggi il proliferare di violazioni legislative di ogni genere da parte dei proprietari terrieri e, di conseguenza, le condizioni dei lavoratori sono lungi dall’essere regolamentate in maniera equa. Gli adivasi lavorano tutto il giorno nelle piantagioni, ricevendo paghe irrisorie, appena sufficienti a consentir loro di sopravvivere. Perciò, lontani dalle loro terre originarie, senza possibilità di farvi ritorno e senza l’istruzione necessaria per trovare un lavoro migliore, il più delle volte gli adivasi sono costretti ad accettare una vita di povertà estrema, senza intravedere alcuna possibilità di cambiamento.

 Ma le persone che più di ogni altra pagano le conseguenze di questa situazione sono i bambini. I loro genitori sono impegnati tutto il giorno nelle piantagioni e, pertanto, anche i bambini più piccoli sono, per la maggior parte del tempo, abbandonati a loro stessi. Molti si ammalano di malattie comuni e facilmente curabili, che vengono però trascurate a causa della difficoltà di accesso ai servizi sanitari e, aggravandosi, possono portare anche alla morte. I genitori, inoltre, spesso non possiedono un’adeguata educazione sanitaria e non conoscono le principali norme di igiene e di prevenzione delle malattie.

I bambini non hanno la possibilità di frequentare la scuola: senza un’istruzione, non potranno far altro che rimanere a lavorare nelle piantagioni come i loro genitori.

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E’ difficile immaginare che una bevanda dolce come il té possa avere un lato tanto amaro…!

 Per cercare di porre fine a questa situazione nel 1999 la Fondazione Fratelli Dimenticati Onlus ha aiutato i Salesiani a costruire la scuola Don Bosco Jivon Jyoty (Don Bosco Luce e Vita) nel villaggio di Rangajan, nell’Assam orientale, in modo da dare ai bambini la possibilità di ricevere quell’istruzione che i loro genitori non hanno mai potuto avere. La scuola accoglie 631 studenti provenienti dai 31 villaggi circostanti, e il loro numero è in continuo aumento. La scuola di Rangajan costituisce per tutti i bambini adivasi della zona l’unica opportunità per imparare a leggere e a scrivere, l’unica speranza di cambiare la propria vita.

Recentemente è stato inoltre avviato un progetto di sostegno alimentare per poter garantire ai bambini dei pasti giornalieri, in modo da scongiurare il pericolo della malnutrizione. I periodi più critici sono i mesi di agosto, settembre e ottobre, in cui la disponibilità di cibo è più scarsa. In questo periodo, i piccoli adivasi arrivano a scuola fisicamente spossati, pieni di mal di testa e con una fame costante.

La raccolta fondi per questo progetto è ancora aperta: bastano 10,00 Euro per garantire ad un bambino i suoi pasti giornalieri e fare in modo che possa crescere sano.

Per informazioni sul sostegno a distanza visitate il sito di Fratelli Dimenticati


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