“I coloni israeliani non ci rubano solo la terra, ma pure il nome del villaggio, la dignità e la vita.” Samir Shtaiwi e Murad Shtaiwi, rispettivamente sindaco e coordinatore dei comitati di resistenza non violenta in Palestina, dal villaggio di Kafr Qaddum. Intervista di Franca Bastianello (Presidente Associazione Restiamo Umani con Vik – Assopace Palestina Venezia)
Kafr Qaddum è un villaggio palestinese nella Cisgiordania settentrionale, a 13 chilometri a ovest di Nablus e 17 chilometri a est di Qalqilya; da anni sta lottando per la possibilità di accesso alla strada principale che porta gli abitanti a Nablus.
La strada attraversa da sempre i terreni agricoli palestinesi e congiunge il vicino villaggio di Jit (1 km e mezzo) e ovviamente la città palestinese più vicina ed importante Nablus (13 km), ma è stata chiusa dall’esercito israeliano per la crescita di un insediamento di coloni: Qaddumim e altri quattro colonie che si trovano dall’altra parte della strada. Per l’espansione della colonia illegale, dal 2002 la strada è stata chiusa per ragioni di sicurezza nei confronti degli insediamenti, quale alibi israeliano.
Dei 24.000 dunum (ettari) di terreni del villaggio, circa 4.500 sono stati espropriati e sono diventati insediamenti, mentre altri 11.000 sono territori agricoli che sono interdetti alla coltivazione perché farebbero parte del perimetro di sicurezza della colonia. I residenti del villaggio sono attualmente 4.200 mentre nella colonia di Qaddumim ci sarebbero circa 1000 coloni e molte abitazioni sono vuote.
Per contrastare gli effetti di queste profonde ingiustizie, che si verificavano con azioni di repressione e intimidazione continue, gli abitati del villaggio hanno deciso di organizzarsi in un comitato – unito ad altri comitati popolari che già operavano in Cisgiordania – per dare corpo alla protesta e alla resistenza pacifica, contro gli effetti devastanti dell’occupazione e a favore di una maggiore visibilità internazionale. Le manifestazioni settimanali del venerdì sono iniziate da quando è stato minacciato l’ampliamento dell’estensione dell’insediamento.
La chiusura della strada principale di Kafr Qaddum rende l’accesso ai villaggi vicini di Jit, Sarra e alla città di Nablus impossibile senza una deviazione 15 km, su strade male asfaltate in mezzo agli ulivi (come si può vedere dalla cartina qui sotto: il tratto segnato in verde è l’antica strada che veniva usavano prima della creazione della colonia e che consentiva il collegamento a Jit e Sarra in pochi minuti, la strada segnata in rosso è quella che devono fare oggi per la stessa destinazione).
Murad Shtaiwi, coordinatore dei comitati popolari di resistenza non violenta, parlando del suo villaggio ci dice che: “Il nome palestinese del mio villaggio è composto di due parole Kufr che significa “terreno coltivato” e Qaddom che vuol dire “antico”. Ci fa notare che il nome della colonia israeliana di Qaddumim è stato rubato al villaggio, oltre all’esproprio dei terreni e al danno portato alla qualità di vita dei residenti, che hanno sempre vissuto delle loro coltivazioni, della raccolta delle ulive e dall’esportazioni di questi prodotti.
“Consci del fatto che la resistenza di tipo armato e violento, da una parte non può durare nel tempo e dall’altra porta solo a ulteriore soprusi, vista la disparità delle forze in campo, l’unica strada ormai percorribile è la resistenza non violenta, che riesce a conquistare molte più simpatie nell’opinione pubblica” aggiunge Samir Shtaiwi.
Alla domanda di quale progetto politico si siano dotati i comitati popolari non violenti e quali siano gli obiettivi finali di questa lotta. Murad risponde: “Primo obiettivo é di far convergere la lotta popolare pacifica con la politica dell’Autorità Palestinese. Secondo obiettivo: liberare i territori occupati dopo il 67 nell’intento di creare uno Stato di Palestina vivibile.”
Alla conseguente domanda se esiste la possibilità, come molti attivisti pro Palestina e molti intellettuali di varie parti del mondo propongono di uno stato unico binazionale, Murad risponde esponendo la sua idea personale:
“Secondo me non esiste un solo palestinese che pensi ad uno stato che non sia gestito da palestinesi, fatto inaccettabile da parte di Israele, senza contare che il loro è uno Stato ebraico non aperto ad altre forme religiose. L’unica possibilità è uno stato di Palestina sui confini ante 1967, con appunto confini ben definiti e con pieno riconoscimento politico, finalmente, da parte di tutti i paesi compresi America ed Israele.”
Samir ringrazia per l’accoglienza ricevuta da parte degli attivisti e dei media alternativi in Italia e conferma l’amicizia e la fratellanza tra palestinesi e le associazioni italiane che si occupano dei diritti del suo popolo.
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