“Caro Domenico Quirico, l’Islam non è quello che ha visto in Siria”

Lettera aperta del fotografo di Frontiere News Stefano Romano a Domenico Quirico, a seguito dell’intervista rilasciata dal giornalista a Tempi

Caro Domenico Quirico,

ho seguito con angoscia le sue vicende e, come tutti gli italiani, ho gioito della sua liberazione. Non oso neanche immaginare cosa abbia passato e il dolore e la rabbia che abbia potuto patire in quei lunghi mesi di prigionia; queste sono pene che appartengono al suo privato e che il pensiero non può neanche mirare da lontano.

Ho anche seguito le sue interviste rilasciate nel periodo successivo al suo ritorno in Italia; ed esse sono come frammenti taglienti di uno specchio che è andato in frantumi: ovvero, le sue parole sono sia lo specchio di un’anima incollerita sia vere e proprie armi. Faccio riferimento in particolar modo alla sua intervista a “TEMPI” del 24 settembre, dove sovente Lei fa riferimento alla jihad islamica. Ora, io do per scontato che un giornalista colto come Lei sappia bene di cosa si stia parlando. Comunque provo a chiarire alcune cose, se non per Lei che già le conosce, per le persone che La seguono ma non sono altrettanto informate su questi argomenti, prima di esporle il mio personale ed umile punto di vista.

Ovviamente non posso non fare riferimento al testo base del Corano, perché l’Islam non rende conto agli uomini ma solo alle Parole di Allah (SWT), e tali Parole sono più che semplici ordini per un buon musulmano ma sono più concrete della sua stessa carne. Innanzitutto, spazziamo subito via il termine occidentale “Guerra santa” che non esiste in arabo, non è mai scritto nel Corano, ed è solo una creazione dell’epoca delle crociate cristiane, introdotto in Occidente da Pietro l’Eremita nel 1096. Nel Corano la jihad appare nella sura “Al-Baqara” (La Giovenca), nei vv. 190-1, e significa letteralmente “sforzo”, ovvero il lavoro incessante che viene fatto su se stessi per meglio apprendere e meglio comportarsi. Due sono le jihad: il “piccolo sforzo” (al jihad alAsghar) che è la guerra come autodifesa, e il “grande sforzo” (al jihad alAkbar) che è lo “sforzo esercitato da ciascuno all’interno di se stesso per evolvere, vincere le passioni, educare la propria psiche” come ben spiegato da Gabriele Mandel nei suoi apparati critici alla versione italiana del Corano. Queste le note più importanti: “1° – occorre combattere per la causa di Dio, ma senza aggredire per primi perché Dio non ama gli aggressori (II, 190); 5° – è proibito muovere guerra per solo desiderio di bottino (IV, 94); 6° – occorre rispettare regole precise, limitanti e umanitarie (II, 191-193, 243-244; IV, 74-76; V, 35; VIII, 64-66; IX, 38-42…)” (Gabriele Mandel – “Il Corano” UTET). A questo vorrei aggiungere – e qui concludo questa prima parte teorica – altri due passi importanti.

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Uno è riportato nella sura “An-Nisa” (Le Donne), v.171: in cui è raccomandata la non esagerazione nella religione, come palese condanna di ogni fanatismo, considerato dal Profeta uno dei mali della religione. E per finire i versi più famosi relativi alla jihad, ovvero il verso 39 della sura “Al-Hajj” (Il Pellegrinaggio) in cui si autorizza il popolo musulmano all’autodifesa, se – e solo se – venisse attaccato per primo, con l’obbligo di non uccidere se non necessario, e mai fare guerre solo per bottino o per soggiogare popolazioni. La guerra è sempre una guerra di autodifesa, e non ha nulla a che fare con il terrorismo di cui tanto si parla oggi. In arabo il termine “guerra” (حرب) è molto simile a “terrorismo” (إرهاب) ma il primo è concesso mentre il secondo è sempre condannato. E, cosa ancora più importante, nel verso successivo, si dice che: “Se Allah non respingesse gli uni per mezzo degli altri, sarebbero ora distrutti monasteri e chiese, sinagoghe e moschee nei quali il nome di Allah è spesso menzionato” (“A-Hajj”, v.40), dove è chiaro il divieto per ogni musulmano di distruggere qualsiasi luogo di culto, fosse anche una chiesa o una sinagoga, poiché sempre intesa come “Casa di Dio”.

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E qui torniamo ai tristi fatti dei giorni nostri. A quello che accade in Pakistan, in India, in Nigeria, che le fa dire che “l’islam è una religione totalizzante e guerriera. Dobbiamo dirlo chiaro: è nata con le guerre di Maometto e ha nella lotta e nella conversione uno dei principi fondamentali del suo esistere. Anche quando diventasse una religione moderata e illuminista non sarebbe più islam, ma un’altra cosa”. Secondo quelle che sono le Parole di Allah (SWT), queste frange estreme non hanno nulla a che fare con l’Islam, così come molte di quelle che imperversano e uccidono in nome di un Dio che è il Primo a non riconoscerli, e loro saranno i primi – nella loro ignoranza – a renderne conto nel Giorno del Giudizio; cosa questa che magari può far sorridere la gente, ma che Le assicuro è la paura più grande che schianta le vene di qualsiasi vero musulmano.

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Purtroppo le persone identificano la religione con chi poi la applica, come se solamente alcuni musulmani fossero i rappresentanti di questa fede, ma l’Islam è la seconda religione al mondo, seguito da milioni di fedeli che attraversano ogni latitudine del pianeta: ci sono musulmani cinesi, svedesi, canadesi, somali, inglesi e più di un milione e mezzo in Italia. Come si può parlare di Islam solo riferendosi a quello che accade nei territori di guerra? Lei dice che “l’islam moderato ed educato che ci piace tanto è una piccola percentuale di élites collegate all’Occidente. Mentre la maggioranza è un’altra cosa”, e che è in atto una conquista del mondo occidentale da parte delle forze armate islamiche; allora che dire delle migliaia di musulmani italiani che vivono e lavorano quietamente in ogni città della nostra nazione? Non sono forse loro musulmani? Essere musulmano significa solamente depredare, convertire con la forza o uccidere? Certo che se si visitano sempre i territori di guerra, dove spesso l’Islam è un pretesto per interessi politico-economici, la sensazione che ne emerge è veramente quella di un Islam guerrafondaio. Ma l’islam moderato non appartiene solo alle poche élites televisive, sarebbe sufficiente visitare paesi come l’Indonesia o la Malesia, soprattutto l’Indonesia dove il governo si è impegnato anni fa a sradicare l’Islam pericoloso che aveva insanguinato questa terra. Ora l’Indonesia, come la Malesia, è un paese pacifico dove convivono differenti religioni, e la tolleranza è scritta come emblema nello stemma “Binneka Tunggal Ika” – Unità nella Diversità; prova ne è proprio una città come Jakarta, dove la più grande Moschea Istiqlal Masjid (il cui architetto è cristiano) è di fronte la più grande cattedrale.

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Io Le dico questo come musulmano, tornato all’Islam da qualche anno, proprio perché attraverso il mio lavoro – la fotografia – ho visto nei volti delle persone musulmane che fotografavo, una luce che non avevo mai visto prima. Un senso di pace che è deflagrato nel momento in cui sono entrato in contatto con la comunità indonesiana a Roma e poi nel mio viaggio in quella terra. Lì ho veramente visto l’Islam come “sottomissione alla volontà di Dio” (che è il senso letterale della parola Islam, come Lei ben sa), non attraverso le armi ma nei sorrisi e nelle azioni quotidiane di questo popolo pacifico. Nei bambini educati al rispetto per i genitori e gli anziani in un modo che da noi si sta perdendo. Ma soprattutto nella fede alle Parole dirette di Dio e non a chi le interpreta per i suoi interessi, andando contro ogni più basico elemento costitutivo del credo islamico.

Con questo concludo questa mia lunga lettera, augurando che possa trovare presto pace il suo cuore tormentato, invitandola a vedere oltre la cortina di odio che ha respirato in quelle terre. L’Islam è vasto come un oceano, e qualche macchia di petrolio non può indurla a pensare – assieme a tutti quelli che la seguono – che sia l’intero oceano ad essere avvelenato. Dio ha creato l’oceano puro nelle sue acque, è sempre una piccola parte di umanità che ne corrompe la sua bellezza.

Con rispetto,

Stefano Romano


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