Il nostro viaggio inizia un lunedì di agosto a Cashel, una cittadina nel centro dell’Irlanda, dove gli unici mezzi di trasporto che incontri sono macchine e qualche pullman di turisti. Gli autobus passano poco. Oggi abbiamo una macchina un po’ sgangherata, ma ci fidiamo e partiamo. Due ore e mezzo ci separano da uno dei posti più belli che madre terra ha regalato al genere umano: le Cliffs of Moher. La radio passa le notizie sulla pioggia che tornerà dopo tre settimane di caldo eccezionale (erano anni che l’isola non toccava i 30 gradi) e sulle partite del weekend, mentre fuori dal finestrino passano tutte le sfumature possibili di verde, una dopo l’altra, come i fotogrammi di un film. Arriviamo nella contea di Clare che, dal traffico di automobili dirette all’aeroporto di Shannon, conduce a una strada stretta e mal messa, circondata da un paesaggio che si fa via via più rude, selvaggio, fatto di alberi, piante, poche case e tanti tipi di fiori: siamo vicini alla meta. Cominciano a vedersi anche i primi cartelli, poi passano Miltown Malbay, Spanish Point (che prende il nome dal naufragio di alcune navi della “Invencible Armada” spagnola), Lahinch e le Cliffs cominciano a vedersi…
Dieci minuti di salita e siamo arrivati. Il biglietto si paga al parcheggio: siamo pronti a vivere la Cliffs of Moher Visitor Experience. Camminiamo per un po’, guardiamo a sinistra e… il fiato si sospende. Siamo in alto, eppure ci sentiamo così piccoli davanti al miracolo del creato, davanti a quel punto in cui la terra finisce e sposa l’Atlantico, quel punto che registra un milione di visitatori all’anno. Oggi c’è il sole ed è possibile ammirarlo in tutta la sua magnificenza. Abbiamo percorso tanti chilometri, ma vogliamo camminare per vivere appieno questa esperienza: ce ne andiamo a destra. Dopo la Torre O’Brien inizia un sentiero molto stretto, che costeggia l’orlo delle scogliere ed è circondato da una grande varietà di specie protette di animali e di flora. Bisogna fare molta attenzione perché è facile scivolare e c’è vento forte. Dopo quasi quattro chilometri arriviamo in un piccolo spiazzo dove sono riunite alcune persone che fotografano a sinistra: il fiato si sospende ancora, più forte di prima.
È l’estasi, è sentire la natura e sentirsi parte di essa, e ti viene voglia di abbracciarla come lei abbraccia te. Finché non arrivano le nuvole ad avvertirci che dobbiamo incamminarci, se non vogliamo essere colti dalla tempesta. Ma in fondo siamo così pieni che per un po’ non avremo più paura di niente…
Profilo dell'autore
- Marta ha collaborato con varie agenzie di stampa e con Frontiere News. Si è laureata in Scienze della Comunicazione, Informazione e Marketing alla Lumsa di Roma e successivamente ha conseguito un master in Critica Giornalistica per Teatro, Cinema, Televisione e Musica all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica "Silvio d’Amico". Al momento si trova in Irlanda, dove lavora come team manager per Telus International.
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