Rock made in Iran, “per una cover dei Metallica ho rischiato il carcere”


Agah Bahari è un compositore, musicista e produttore iraniano. La sua musica rock (ha suonato di tutto, dai Metallica ai Megadeth) non piace alle istituzioni di Teheran, motivo per cui è stata vietata in tutto il Paese. Lasciamo a lui raccontare la sua storia. Intervista di
Valerio Evangelista

  

Sei nato a Teheran e là sei cresciuto, anche artisticamente.
Sono nato nella musica. Verso l’età di 7-8 anni ho iniziato a muovere i miei primi passi, dedicandomi a xilofono e flauto. Dopo un paio di anni di studio ho deciso di esplorare altri lidi: la chitarra classica, poi le tastiere e, in ultimo, la chitarra elettrica. Che non ho più lasciato.

Che legame hai con la musica tradizionale iraniana?
Ho una forte connessione con il patrimonio musicale del mio paese, ma non perché abbia studiato musica tradizionale. Sono cresciuto con la musica iraniana, essendo quasi del tutto assente – nell’Iran della mia infanzia – quella occidentale.

Nella tua formazione da rocker c’è stato anche un periodo in Malesia…
Dopo alcuni iniziali intoppi burocratici in Turchia per ottenere il visto (l’atmosfera “post 11 settembre” era ancora presente), sono finalmente riuscito a raggiungere la Malesia nel 2003, a Kuala Lumpur. Ero all’International College of Music (appartenente al Berklee International Network), un ambiente di puri e irriducibili jazzisti dove la mia musica non veniva accettata. Ricordo perfettamente il giorno in cui mi impegnai particolarmente nell’eseguire cover di Frank Zappa. Inutile dire che non sono state apprezzate!

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Dopo la parentesi malesiana sei tornato in Iran. Che situazione ti aspettava?
Ho fatto ritorno in Iran nel 2005. Per qualsiasi attività artistica o culturale c’era bisogno di ottenere un permesso da parte del Ministero della Cultura, anche per suonare in pubblico. Quando nel 2006 mi sono recato presso la sede del Ministero per chiedere l’autorizzazione prima di un concerto, l’impiegato mi ha annunciato che il mio nome era – già dal 2003 – nella lista di artisti che non potevano più esibirsi né registrare. In quel momento stavo frequentando Pouya Mahmoudi, un chitarrista eccezionale, forse l’unico in grado di coniugare perfettamente musica tradizionale e rock; suonavo con lui, adoravo le sue re-interpretazioni. Ma dopo un mese e mezzo ho dovuto lasciare l’Iran, non potevo rimanere.

Hai ancora contatti con altri artisti iraniani?
Ho alcuni amici con cui periodicamente mi mantengo in contatto, ma la maggior parte degli artisti che conoscevo sono fuggiti dall’Iran. Anche loro.

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Eri impegnato politicamente? Quali sono le ragioni, secondo te, del divieto di suonare?
Non ho mai partecipato ad attività politiche. Mia madre era molto preoccupata riguardo a un mio ipotetico avvicinamento all’opposizione, per i motivi che potete facilmente intuire. Mi sono sempre occupato solo di musica. La verità è che le autorità non vogliono che ci sia un’influenza occidentale. Con la mia musica promuovevo, in un certo senso, il modello americano. La mia “disavventura” capitò nel momento in cui Ahmadinejad era da poco diventato presidente, erano i suoi primi anni e il suo governo aveva l’esigenza di mostrarsi rigido e inflessibile.

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Credi sia una questione politica o culturale? Con l’elezione di Rohani vedi uno spiraglio di apertura?
La società iraniana è complessa. I giovani di oggi amano l’Occidente. Quando sono cresciuto non c’era internet, ma molti ragazzini avevano – ovviamente illegalmente – vhs e audiocassette. Adesso che c’è internet chiunque può usufruire dei canali che preferisce e accedere ai contenuti desiderati. Il presidente attuale si inserisce in questo contesto ma benché dia l’impressione generale di portare cambiamento non so se ciò si possa concretizzare in una reale apertura culturale e musicale all’Occidente.

Hai avuto collaborazioni importanti, tra cui quella con Derek Sherinian, ex tastierista dei Dream Theater. Di quale dei tuoi lavori hai il ricordo più intenso?
Posso risponderti senza pensarci due volte: “The Second Sight of a Mind”, la mia prima produzione. E’ il lavoro con cui ho imparato a suonare davvero, una sorta di campo di addestramento. Ne sono estremamente orgoglioso, produrlo mi ha reso molto contento. Rappresenta l’apice del processo formativo in cui ho capito come realizzare un album e come promuovere l’arte di musicisti molto diversi tra loro; è stata la conclusione del mio percorso di avvicinamento alla musica prog e metal, “pane” con cui sono cresciuto nella mia adolescenza in Iran.

A cosa stai lavorando in questo momento?
C’è in corso la produzione di un nuovo album. Vi lascio un’anticipazione: ci saranno tanti stili musicali, dal rock prog all’elettronica, dal jazz alla world music. Non potete perdervelo!

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Profilo dell'autore

Valerio Evangelista

Valerio Evangelista
Dal suo Abruzzo ha ereditato la giusta unione tra indole marinara e spirito montanaro. Su Frontiere, di cui è co-fondatore, scrive di diritti umani e religioni.

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