A Riyadh lo chiamano “niqab”, a Kabul “burqa”, a Gerusalemme “frumka”. Tutti questi termini – con le relative distinzioni e particolarità – rimandano al “velo integrale”, quello che dalla testa ai piedi copre la figura femminile. “Frumka”? Nata dalla fusione di “frum” (termine yiddish che significa “devota”) e “burka”, questa parola indica il velo integrale usato dalle ebree ultra-ortodosse, che da qualche anno sta allarmando i rabbini israeliani.
All’inizio del 2008 una leader religiosa, tale Bruria Keren, iniziò a diffondere l’idea secondo cui una il genere femminile debba sottostare ad una forma assoluta di modestia, partendo dal modo di vestire e continuando in ogni azione quotidiana. Bruria riuscì a conquistarsi un piccolo gruppo di adepte e cominciò a girare per strada completamente coperta: dieci spesse gonne, sette lunghi mantelli, cinque fazzoletti annodati al mento e tre alla nuca, per finire con una mascherina di stoffa da cui sbucavano solo gli occhi. La sopraccitata modestia non si limitava all’abbigliamento; le donne, infatti, non dovevano in alcun modo avere contatti (se non per procreare) con gli uomini e dovevano mantenere – anche all’interno della famiglia – un comportamento di totale sottomissione: non pranzare a tavola in presenza di uomini, non alzare lo sguardo, imporre lo stesso modo di vivere alle figlie femmine, girare per le strade sempre accompagnate e mai su mezzi con uomini a bordo.
Non fu così immediata l’adesione al culto da parte delle ultra-ortodosse ebree. Ma un giorno la polizia arrestò la “Rabbinat” (come i media la definirono), accusandola di aver seviziato i suoi dodici figli e di averli costretti all’incesto; entrò in carcere con una condanna a quattro anni e le sue seguaci iniziarono a girare per Gerusalemme facendo proseliti. Oggi le “madri dei talebani” (così battezzate dalla stampa locale), contano centinaia di adepte e il fenomeno sembra dilagare a macchia d’olio nei quartieri più ortodossi della Città.
La “frumka” però non gode delle simpatie maschili, che non aderiscono di buon grado alla volontà femminile di nascondersi dentro a questi “sacchi informi”. Il portavoce della comunità ultra-ortodossa Eda Haredith (setta dei Timorati), Keren Shmvel Poppenheim, dichiarò durante il processo a Bruria: “Quelle donne sono povere pazze, presto si stuferanno e torneranno a comportarsi normalmente”. Le sue previsioni non andarono come sperato e oggi per tentare di arginare il fenomeno Eda Haredith porta il caso alla Corte di Giustizia.
Non è solo la questione estetica ad infastidire i rabbini (che vedono una pericolosa somiglianza con le musulmane); quello del “frumka” si è trasformato anche in un problema educativo. I figli (e soprattutto le figlie) delle seguaci di Bruria Keren spesso si ritrovano isolati dagli altri bambini e chiedono di non andare più a scuola, con l’approvazione delle madri che provvedono così ad un’istruzione esclusivamente religiosa, secondo i precetti della “Rabbinat”. Le figlie delle “ebree talebane” rischiano così, al pari delle bimbe dell’Afghanistan fondamentalista, di crescere senza istruzione. Proprio per questo i rabbini di Eda Haredith potrebbero decretare l’inammissibilità del “frumka” e la messa al bando di tutte le sue adepte.
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