Leonard, dall’Uganda ai soprusi del ‘face-to-face’ all’italiana

Leonard è un uomo di 44 anni; ha lasciato l’Uganda nel 1994, per raggiungere l’Italia. Da allora ha svolto diversi lavori, incontrando anche persone che hanno approfittato della sua condizione difficile e scontrandosi continuamente con la macchina burocratica italiana. La storia di Leonard non rappresenta di certo un caso isolato, e per Frontiere News vuole concludersi con un appello di solidarietà.

Intervista di Eleonora Dutto

foto: archivio


Leonard perché hai scelto di lasciare il tuo paese e venire a lavorare in Italia?
In Uganda ero un vigile urbano, ero giovane ed ambizioso: volevo fare un salto di qualità con un’esperienza all’estero, dove imparare una nuova lingua e guadagnare di più per far crescere la famiglia che io e mia moglie stavamo creando. Così ricevetti da un conoscente una proposta per un lavoro per 8 anni a Roma, come domestico nell’ambasciata ugandese. Era una buona possibilità ma anche un grande sacrificio: non potevo tirarmi indietro.

Poi cos’è successo? Il gioco ha valso la candela?
Purtroppo no. Ho lavorato per 4 anni e poi con il cambio di ambasciatore è stato deciso di dimettere anche il suo staff. Non volevo andarmene, ho cercato di alzare la voce ma quando mi è stato dimezzato lo stipendio non ho avuto più le forze per combattere.

E qui sono cominciati i problemi…
La mia presenza in Italia era legata esclusivamente a quel lavoro: avevo infatti un documento del ministero degli Affari Esteri che mi vincolava a lavorare in ambasciata. Davanti a me un bivio: rimanere in Italia da clandestino oppure tornare in Uganda.

Un bivio cruciale. Se oggi sei qui, sappiamo quale è stata la tua scelta. Ma perché?
Immaginati di essere giovane, con la voglia di costruire qualcosa per il tuo futuro e quello della tua famiglia in un Paese straniero che sembra offrirti maggiori possibilità del posto da cui provieni. Immagina di scoprire di aver fallito a fidarti degli altri: torneresti indietro o continueresti a provare? Io ho scelto di continuare a provare.

Credo di capire perfettamente, i giovani italiani oggi fanno lo stesso all’estero. Da quella scelta in poi, purtroppo la situazione è precipitata. Giusto?
Si. Benché il mio nome fosse nel registro dell’ambasciata, non ricevetti alcun contributo Inps. Fui clandestino per 7 anni in Italia, poi venni salvato da una sanatoria. Ho svolto tanti lavoretti a nero ed a progetto e, contemporaneamente, ho cercato di investire nella mia formazione. Mi sono iscritto ad un corso di lingua italiana ed a corsi di formazione in educazione alla sviluppo: ho cercato di intraprendere tutti i percorsi più vicini alle mie attitudini, nei limiti delle mie possibilità finanziarie. La situazione è diventata veramente difficile quando ho ottenuto l’ultima chance: il visto legato alla disoccupazione, che mi copriva senza un contratto di lavoro per un anno.

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Finita la disoccupazione, senza un lavoro saresti dovuto ripartire. Invece hai trovato un contratto a progetto come Dialogatore face-to-face per un Azienda di marketing…
Già. Nell’estate 2010 ho iniziato a lavorare come comunicatore per quest’azienda che si occupa di coinvolgere donatori individuali che sostengano importanti organizzazioni umanitarie. Si trattava di lavorare per strada, porta a porta o negli eventi nei luoghi più frequentati come i centri commerciali. Mi è stato offerto un contratto a progetto di 400 euro mensili, più le possibili provvigioni dopo gli 11 contratti chiusi ogni mese. Non era molto e in verità spesso non mi venivano date neanche le 400 euro promesse, ma solo la provvigione sui singoli contratti: mediamente riuscivo a guadagnare dalle 50 alle 200 euro al mese. L’ho portato avanti ugualmente: avere un contratto mi garantiva la possibilità di rimanere legalmente in Italia, non vedevo altre soluzioni che accettare. Durante il giorno lavoravo per loro, dalle 9 di mattina anche fino alle 21, finchè si poteva trovare gente in giro o fosse ancora un orario buono per fare il porta a porta. La notte, dalle 23 fino all’alba, integravo necessariamente lavorando a nero in una bisca vicino casa, a Ladispoli dove gli affitti sono più economici. Rientravo a casa la mattina alle 5, tempo di dormire un’ora e poi ripartire per fare il dialogatore a Roma, in qualsiasi zona mi inviassero. Poi il mio contratto scadde. Uno straniero che ha un visto lavorativo e già vive in Italia ha tempo 3 mesi per regolarizzare la sua posizione. Il datore di lavoro dell’azienda di Marketing mi rimandava le pratiche mentre continuavo a lavorare ormai senza contratto: non ero uno di quelli “forti” che portavano 30 o 40 contratti al mese, non ero tra i suoi primi pensieri. Non ero neanche più giovane come quando ero arrivato: la vita da immigrato mi aveva invecchiato fisicamente e mentalmente. Ho deciso di fidarmi ed aspettare che quel giovane imprenditore mi regolarizzasse. Nel frattempo continuavo a lavorare a gratis nella speranza che venisse risolta la mia situazione. E quando scaddero i 3 mesi utili, estenuato, impaurito ma ancora speranzoso continuai a lavorare ancora 2 mesi: ma ormai ero clandestino.

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Come sei uscito da quest’empasse?
Prima contattai un CAF: mi aiutò a prendere la decisione di lasciare il lavoro e chiedergli il saldo dei soldi che non mi erano stati dati. Risultò che il mio contratto non era stato neanche depositato all’Inps. Il CAF mi aiutò a recuperare una parte dei soldi che mi spettavano. Per il resto l’avvocato dell’agenzia di marketing disse di non essere a conoscenza che fossi irregolare e quindi di non volermi assumere di nuovo. Ma era lui che mi aveva fatto diventare irregolare.

Come hai risolto il problema del permesso di soggiorno?
Rimasi da solo a questo punto. Nessuna istituzione poteva o voleva aiutarmi, né i soldi mi sarebbero bastati per pagare un buon avvocato che seguisse una causa cosi lunga e con dubbie speranze di riuscita. Sono stato aiutato dai giovani italiani che hanno lavorato a stretto contatto con me durante i mesi di Face to Face. Grazie a loro, che mi hanno fatto da interpreti dove non riuscivo a capire la burocrazia italiana e tanto altro sono riuscito ad avere un contratto fittizio come colf in una casa privata. Grazie a quel contratto oggi ho la possibilità di rimanere altri 3 anni in Italia, ma sta per scadere ad Agosto 2014 e sono già preoccupato di dover riaffrontare quella paura del vuoto per l’ennesima volta.

Un contratto fittizio vuol dire che non lavoravi veramente come colf. Giusto?
No logicamente, è stato un favore che mi è stato fatto per aiutarmi. Io ho continuato a fare lavoretti a nero, a spostarmi di casa in casa in affitto cercando sempre le soluzioni più economiche. La legge ti impone di lavorare per stare in Italia, ma i datori di lavoro fanno di questa bisogno di lavorare un ricatto. Quello che è assurdo è che sia capitato proprio mentre per strada andavo a cercare donatori per le grandi organizzazioni umanitarie che aiutano i paesi in via di sviluppo… che aiutano il mio paese.

Raccontaci qualcosa in più di te, della tua famiglia. Hai figli?
Ho 44 anni e due figli di 14 e 18. Vanno ancora a scuola, sono io che li mantengo, mia moglie mi ha lasciato per l’eccessiva distanza. Da quando sono in Italia sono riuscito a tornare in Uganda solo 2 volte: con i soldi del volo posso pagare un intero anno scolastico dei miei figli, preferisco mettere davanti questo al mio piacere di vederli spesso. Non ho mai pensato di tornare, perché in Uganda ora non posso fare nulla: non ho una laurea e c’è troppa concorrenza. Quando ho finito la scuola c’era solo un’università; ora ce ne sono decine. Non ho l’età adatta per l’inserimento lavorativo. L’economia è stabile, forse più che in Italia, dovrei avere un buon budget e aprire qualcosa di mio, ma come posso mettere soldi da parte nella condizione che vivo? Ormai sono in un limbo: reinserirmi in Africa è un’impresa troppo ardua per me, rimanere in Italia, dove non vivo dignitosamente, diventa una consolazione… magra.

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Vogliamo concludere questa intervista con un appello: se volete contattare Leonard scriveteci a redazione@frontierenews.it

 


Profilo dell'autore

Eleonora Dutto
Come si possono sentitizzare 30 anni di vita e il carattere di una donna in una biografia di poche righe? Proviamo:
Nata a Roma ma non romana fino all'osso.
Italiana ma meticcia nell'animo, grazie alla ricchezza assorbita dalle esperienze in giro per il mondo e dal contatto con le altre culture anche nel mio paese.
Laureata in Relazione Internazionali ma appassionata di Cooperazione Internazionale, migrazioni e diversità culturali.
Fundraiser ma insegnante di italiano per stranieri.
Amante della storia e delle tradizioni ma Viaggiatrice sempre in cerca di nuove idee per creare "Altro".
...E in questo caso: Blogger per apportare il mio contributo al progetto interessante ed oggi più che mai necessario di Frontierenews.it, per sostenere un "mondo plurale".

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