Tanaz Eshaghian è iraniana. E americana. E regista. Bella, incorniciata dai suoi capelli neri e da quegli occhi profondi, ha una voce forte come ogni donna indipendente che si rispetti. Voce che diventa dolce, quasi un sussurro, quando durante la nostra chiacchierata, prende in braccio sua figlia Lili.
Non è stata una vera e propria intervista, la mia. Anche se si è svolta con domanda e risposta, come nella migliore delle tradizioni, abbiamo parlato soprattutto per immagini. Tra le trans di “Be like Others” (2008) e le giovani donne innamorate di “Love crimes of Kabul”(2011), Tanaz fa scivolare dolce la telecamera sulla dura e crudele realtà che ha deciso di raccontare. Ed è da lì che siamo partite in questo “viaggio”, dalle immagini e dai sentimenti che sono nati in lei dopo questi due lavori. E, soprattutto, di quanto sia ancora importante e fondamentale affidarci ai ribelli, quelli veri. Puri. Coraggiosi.
Come è stato filmare in Iran?
Sono stata fortunata. Ho avuto tutti i permessi necessari. In Afghanistan è stato molto diverso. Non essendo afghana molte persone erano chiuse nei miei confronti e non è stato facile. Ho trovato un sacco di persone ostili, diffidenti… I soldati mi urlavano addosso tutti i giorni, senza ragione. Non si possono comparare l’Iran e l’Afghanistan. Insomma… In Afghanistan la gente è traumatizzata e questo trauma lo riesci a percepire sempre, nella loro ostilità, nei loro gesti, nei modi di fare. In Iran questo non c’è. Nonostante ci sia uno stato di Polizia la gente è più… distesa.
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Partiamo proprio da “Love crimes of Kabul”, dove incontriamo diverse storie e diverse donne. Il capo delle guardie, ad esempio. Lei è un personaggio ambiguo che gioca un doppio ruolo con le ragazze, da amica a carceriera.
Lei era così… complicata. E’ stata un personaggio “di disturbo”. Lei, così dura… Una sopravvissuta. Non credo possa essere amica di qualcuna, era così… Alle volta la mattina arrivava e ci diceva che non potevamo filmare, che era “pericoloso per loro e per noi”. Davanti alle mie obiezioni mi guardava e mi diceva semplicemente “Oggi è così. Non puoi filmare. Non importa cosa hai fatto ieri. Oggi non si filma, torna a casa”. Provava un indubbio gusto a torturarci, a mostrarci il suo potere…
Racconti tre storie differenti. C’è Kareema, accusata di aver fatto sesso prima del matrimonio, Aleema, scappata di casa e ora in arresto insieme alla zia che l’ha accolta e la giovanissima Sabareh, accusata di aver avuto rapporti sadomaso con il suo vicino. L’unica a “cavarsela” con poco è Kareema, quattro giorni di carcere e un matrimonio “riparatore”. Tu filmi tutto. Non pensi che la tua presenza abbia influito per un giudizio più clemente?
No… Assolutamente. Là, in Afghanistan, funziona tutto in modo strano. L’unica cosa che ha “salvato” Kareema è stato il fatto che siano riusciti a combinare il matrimonio. Hanno rimediato al loro peccato, si sono ripuliti, purificati. Per Sabareh invece, è andata diversamente. Lui non ha voluto sposarla, le famiglie non sono arrivate ad un accordo e… E’ difficile da dire. Non ha inciso tanto il fatto del sesso anale quanto il matrimonio mancato. Dipende tutto dal giudice che hai quel giorno, dalla cultura… Da dove viene, che cosa ha mangiato, se è di buon umore. In un Paese senza legge è difficile sapere come sarebbe andata “se”…
Completamente diversa, invece, la situazione che si vede in “Be like others” dove, per rispettare una legge, gli omosessuali decidono di cambiare sesso.
Non la vedrei in questo modo. Penso che rispettare la legge, in questo caso, sia l’unico modo per sopravvivere. Non si tratta di seguire le regole ma di fare un calcolo molto matematico dei pro e dei contro. E’ come se si chiedessero:”Come posso sopravvivere in questa società? Io voglio vivere qui e migliorare la mia condizione ma mi piacciono gli uomini, voglio fare sesso con gli uomini e sono visibilmente effeminato quindi… Cosa posso fare? Come vivo ora non posso andare avanti, sono trattato di merda, chiunque può torturarmi. Se mi beccano con un uomo rischio di morire… Che alternativa ho?” . Per questo credo riguardi più il “sopravvivere”, non tanto la legge…
Sei rimasta stupita quando hai scoperto che in Iran, un Paese dove l’omosessualità è illegale e considerata un reato era possibile, invece, cambiare sesso?
Si molto, anche perché l’ho scoperto leggendo un articolo. Non avrebbe creato tanto clamore se fosse stato un stato occidentale a fare una cosa del genere ma in Iran… In una cultura dove è ancora un problema trovare marito se non sei vergine mai avrei pensato che potesse accadere una cosa del genere. Non è un passo da poco, non è accaduto in un paese dove le persone sono libere di decidere per loro stesse. In Iran non c’è questa prospettiva dell’individualità, non puoi decidere di essere transessuale e non operarti… In Iran il tuo corpo non è un affare privato ma un affare dello stato. Non puoi decidere liberamente cosa farne. Lo Stato ha il diritto di dirti come e cosa fare, chiunque può dirtelo, dalla famiglia alla comunità… Così, cambiare sesso diventa un modo per vivere in quella società, dove non sarai più motivo di vergogna ma solo un “malato da curare”.
Una volta operati sono davvero accettati?
No. Ma… alla fine possono andare in giro, fare sesso e… Tutto gira intorno a quello. Si sentono più liberi…
E le famiglie? Nel tuo documentario riesci ad intervistarne qualcuna… Quella di Annosh, ad esempio. Non sembrano molto felici della sua decisione. La sorella commenta affranta:”Finirà per uccidere mia madre con questa storia”…
Intervistarli non è stato facile. Sono stata fortunata, essendo iraniana e parlando farsi ho potuto trovare qualcuno disposto a parlarmene ma… Molte persone mi chiedevano perché lo facevo, se ero matta, indagare su una cosa che per loro era stata devastante, “la peggior cosa che gli era capitata nella vita”… Mi dicevano di andarmene, di lasciar perdere.
Che idea ti sei fatta di questa situazione?
E’ triste. Ho pensato a molte cose, a cose diverse tra loro… Quanto è importante il sesso inteso come genere, che cosa vuol dire essere “maschio” o “femmina”, cosa ci si aspetta da questa differenza e che cosa implica… Quali sono le regole… E penso che ci sono ancora moltissime cose che mi porto dentro, che saranno dentro di me per sempre.
Come funziona la procedura pre-operatoria? Si va direttamente dal dottore? E’ costoso?
Non così tanto… 4.000 dollari… E il governo paga la metà. Anzi, recentemente mi sa che il governo ha approvato una legge che prevede che sia tutto a carico dello Stato. Questo è molto interessante… La procedura è più semplice di quello che si crede. Vanno dallo psichiatra un paio di volte, si fanno diagnosticare questo “disturbo” e poi vanno dal chirurgo a “curarsi”. E’ davvero molto semplice burocraticamente parlando.
Faccio per chiederle qualcosa ma lei mi interrompe e, finalmente, si apre. Mi dice quello che pensa. Rompe l’argine… E parla di sé.
“In un certo senso è una soluzione. Insomma, se tu sei effeminato e ti piacciono gli uomini diventare donna è la soluzione per non disgustare il resto della tua società. Sì, perché è disgusto proprio. Gli iraniani provano disgusto a vedere movenze così femminili in un corpo da uomo. Eppure sono attratti dalle donne particolarmente mascoline. Le ragazze che diventano uomini sono considerate ancora più uomini degli uomini, sono eccitati… Lo considerano quasi un crimine il fatto che decidano di cambiare sesso. Ed è normale parlarne… Sono discorsi all’ordine del giorno…
C’è una tragedia in tutto questo. E’ tragico e al contempo intellettualmente spettacolare vedere come questa società comunitaria ora… E’ difficile da spiegare. Soprattutto per noi occidentali. Lì quello che tu fai o sei “personalmente” non conta, è secondario. Così come quello che è meglio per te deve venire dopo quello che è considerato meglio e più rispettoso per la tua famiglia e per società in cui vivi. L’idea che i tuoi desideri prendano il sopravvento e diventino la cosa più importante è l’inizio di una visione individualista delle cose. Ed è… la cosa che ho trovato più interessante. Per la prima volta queste persone stanno mettendo davanti a tutto i loro desideri e questo è l’inizio di una svolta. Sono persone ai margini della società quindi sono le persone giuste per iniziare il vero cambiamento. Si alzano in piedi per dire “Questo è quello che voglio, che IO voglio e farò tutto quanto in mio potere per ottenerlo invece che assecondare il volere della comunità”. Sono stanchi di vergognarsi, di stare calmi… Sia in Iran che a Kabul è questo che mi ha colpito. Loro sono pronti ad andare oltre le barriere… E questo è fantastico, stravolgente!
Qualcosa del nostro mondo occidentale li ha raggiunti. Finalmente si sentono pronti a chiedersi “Chi sono IO, cosa voglio IO?”. Questo – e capisco che non sia facile da capire ma è fondamentale – è il vero salto in avanti. Loro smettono di agire come gli altri vorrebbero e si preoccupano di cosa vogliono loro senza curarsi troppo di cosa penseranno gli altri. Loro stanno cercando il loro posto, le loro storie, stanno decidendo da soli.
Sono dei ribelli. Totalmente ribelli. E io… ero così sorpresa. Mentre filmavo la mia parte iraniana era scioccata, mi chiedevo “Dove troveranno questo coraggio? Wow… “. Non credo che ne avrei avuto altrettanto! In fondo, a noi manca questo spirito di intraprendenza, noi abbiamo tutto. E’ per questo che resto affascinata dal modo in cui la gente “calcola” quali rischi correre e come fare per ottenere quello di cui ha realmente bisogno. A differenzanostra che siamo liberi di essere ciò che più ci va, spontaneamente, queste persone vivono in così tante restrizioni e leggi e limiti e barriere che usano appieno il loro cervello… Ottenendo piccole ma importanti conquiste”.
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