Foto tratte da film horror e spacciate per testimonianze da Kessab, bimbi trucidati dall’artiglieria del regime e immolati come “vittime dei ribelli”. Sugli armeni di Kessab è stato detto molto. Troppo, forse. O troppo poco.
Kessab è un villaggio alle pendici del Monte Aqraa, vicinissimo al confine con la Turchia. Gli abitanti, circa un paio di migliaia di anime, sono prevalentemente armeni della diaspora (situato sul confine dell’antico Regno armeno di Cilicia, il villaggio ha vissuto in maniera diretta gli orrori del genocidio).
Nelle scorse settimane le forze di opposizione al regime del clan Assad hanno condotto un’offensiva nell’area, di evidente rilevanza strategica. Nell’attacco – che, stando alle prime ricostruzioni, sarebbe stato portato avanti con una predominanza delle forze islamiste e con il supporto logistico e militare della Turchia – sarebbero morti almeno 80 civili armeni. Dopo l’offensiva circa 600 famiglie sono fuggite da Kessab e dai villaggi limitrofi.
Dai profili Twitter e Instagram di attivisti anti-ribelli si è alzata, in pochissimo tempo, una nube di commenti e foto per sensibilizzare la comunità internazionale. Il tutto corredato da un immancabile hashtag, #SaveKessab. E a ruota, in ancora meno tempo, anti-imperialisti dell’ultim’ora, assadiani a tempo perso e clericofascisti con manganello e rosario sono diventati esperti analisti riguardo a un villaggio di cui – fino a poche ore prima – ignoravano totalmente storia e posizione geografica.
Per verificare di persona la reale situazione dei cittadini di Kessab, alcuni parlamentari armeni si sono addirittura recati sul campo. E qui sono iniziate le prime sorprese. “Alcuni armeni hanno combattuto contro i gruppi armati per difendersi. Fortunatamente, non ci sono state vittime dal lato armeno“, ha dichiarato in un’intervista il parlamentare armeno Tevan Poghosyan. Il sindaco di Kessab, poi, ha confermato che tutti i residenti del villaggio sono vivi (e le simpatie che questo politico ha per il regime assadiano sono più che note).
Il ministro degli Esteri turco Ahmet Davutoğlu non è restato a guardare e alle accuse di “continuare il genocidio degli armeni oltre il confine” ha replicato con queste parole: “I nostri confini sono aperti ai nostri amici armeni. Qualche giorno fa ho visitato il Patriarca armeno in Istanbul e gli ho assicurato che siamo pronti ad aiutare gli armeni se loro dovessero venire in Turchia”.
E come ricorda il giornalista armeno Gegham Vardanyan, a proposito dell’emorragia di post con #SaveKessab la giornalista armeno-americana Liana Aghajanian ha scritto sul proprio account Twitter: “L’uso di fonti non verificate, l’uso di foto fasulle provenienti chiaramente da un tempo/paese/film (!) diverso e l’uso distorto della parola ‘genocidio’ stanno procurando un grande danno”. Il riferimento è soprattutto a fotografie e video di esecuzioni di massa – riprese anche da media russi – risalenti a momenti precedenti l’offensiva ribelle e/o addirittura relativi ad altre località.
Questa è una delle foto fasulle su Kessab. È relativa a un’esecuzione di soldati del regime ad Aleppo, nulla a che vedere con il villaggio armeno in questione. Preferiamo non mostrarne altre, perché estremamente brutali. Spesso sono relative ad altri teatri di guerra, a bambini ammazzati dalla stessa artiglieria di Assad o addirittura, dulcis in fundo, estratte da film horror. È il caso della foto di una ragazza grondante sangue e con un mega-crocifisso infilato in gola, protagonista in realtà del film “Inner Depravity” di Remy Couture.
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Segnaliamo innanzitutto il seguente video (e come questo ce ne sono molti) girato dai ribelli dopo la presa della città, che mostra gli interni totalmente integri di una chiesa armena:
Sono inoltre davvero tanti i video, girati proprio a Kessab senza la mediazione di agenzie di regime, in cui i residenti armeni dichiarano che le forze ribelli non hanno osato alzare un solo dito contro i civili o contro luoghi di culto cristiani. Anziani, ragazzi, persone di mezza età che al solo sentir parlare di #SaveKessab tuonano con sgomento e rabbiosa sorpresa contro la citata campagna. Di seguito un video sottotitolato in inglese – tra i moltissimi esclusivamente in lingua araba e armena – in cui civili raccontano la “loro #SaveKessab”:
Profilo dell'autore
- Dal suo Abruzzo ha ereditato la giusta unione tra indole marinara e spirito montanaro. Su Frontiere, di cui è co-fondatore, scrive di diritti umani e religioni.
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fammi capire, perchè secondo te l’esecuzione di soldati di leva con un colpo alla nuca è una cosa normale ?
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