Chi sono i “Mipsterz”, gli hipster musulmani

di Maddalena Goi

Incontro con i Mipsterz. Non è il nome di un gruppo musicale o di una canzone. No, si parla di moda e più precisamente di una sottocultura che si è sviluppata in alcune comunità musulmane di America. Ma chi sono esattamente i Mipsterz?

Un giovane connubio tra musulmani e hipster. O meglio, sulla pagina fb, creata nel 2012 col nome Mipsterz – Muslim Hipsters, si descrivono così:

“Un Mipster è qualcuno al passo con la musica più recente, la moda, l’arte, il pensiero critico, il cibo, l’immaginazione e la creatività. Un Mipster è qualcuno che cerca ispirazione dalla tradizione islamica delle scritture divine, dai volumi di conoscenza, dai poeti mistici, dai profeti audaci, i politici di ispirazione, gli imam esoterici e gli altri esseri umani alla ricerca del trascendente. Un Mipster ha un’identità ironica, una coscienza sociale e il desiderio per un ordine sociale più giusto (…). Il Mipster è un audace, ma con la mente umile, aperto alle idee più diverse (…).” La pagina specifica che tutte le persone sono invitate ad unirsi alla comunità: “Sia che tu sia un musulmano e/o un hipster, o nessuno dei due. Siamo uniti non da qualche etichetta di identità ma dal nostro interesse a impegnarci in una tradizione in tutte le sue molteplici forme”.

Il movimento è balzato sotto i riflettori grazie a un video uscito a dicembre scorso, del rapper americano Jay-Z, “Somewhere in America”. Giovani e belle ragazze velate fanno skate e passeggiano per le strade di New York con tacchi alti, accessori alla moda, pantaloni stretti, vestiti cool e hijab. Il video, realizzato da Abbas Rattani e Habib Yazdi, non ha mancato di scatenare polemiche e critiche, ma anche una certa curiosità. Secondi alcuni, l’uso del velo in senso islamico, è incompatibile con la superficialità mostrata dalle ragazze nel videoclip. Il video andrebbe contro i principi dell’Islam. Il regista del video, Habib Yazdi, afferma: “Si tratta di un semplice clip e non di una dichiarazione politica, non è una rappresentazione di tutta la comunità musulmana o il ritratto preciso e completo delle donne”.

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Ricostruire la percezione collettiva della religione islamica in senso artistico – è questo l’obiettivo principale dei Mipsterz, decisi a infrangere gli stereotipi più rigidi dell’Islam. Haier Nali, una delle protagoniste del video, afferma: “Arte, musica e moda non sono in contrasto con la fede: noi siamo la prova che le donne musulmane son istruite e di successo. Siamo musulmane, viviamo negli Stati Uniti e seguiamo le ultime tendenze senza tradire la nostra religione. In armonia con noi stesse, e con Dio.

Laila Shaikley, co-produttrice del video, è un giovane architetto di origine irachena, nata e cresciuta negli USA e dichiara: “Il video è la celebrazione della nostra vita quotidiana. Niente burqa, bombe o altri simboli ignorantemente associati con l’hijab sulle nostre teste. Al contrario, sole, skateboards, e buonumore, realtà che ci definiscono come individui. Abbiamo fatto il video come una sorta di autoritratto”. E aggiunge: “Il video è la mia storia come americana musulmana. Le reazioni contrastanti all’interno della comunità musulmana-americana mi hanno elettrizzata perché ha dimostrato che i musulmani non sono un monolite. Ma le critiche che si sono scatenate mi hanno fatto realizzare che sono stata un’ingenua a pensare che il video avrebbe potuto essere una celebrazione personale. Inevitabilmente, la gente, vedeva in quel video una rappresentazione della nostra comunità. “I musulmani – americani sono spesso emarginati, esclusi e mal rappresentati dai mass media – aggiunge Laila – i due minuti e mezzo del videoclip scatenano proprio questi sentimenti, covati da anni, se non da generazioni e il solo modo per contrastarli è di scrivere la nostra storia a un livello nazionale,  un ritratto che include accademici, comunità di lavoratori, artisti e intellettuali.”

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Rivoluzionare uno stereotipo, cambiarlo, riscattarlo. Essere alla moda, senza rinunciare alla propria fede e ai simboli che ad essa appartengono. Il messaggio è semplice.

 L’arte, nelle sue più disparate sfumature, può essere uno strumento molto potente in questo senso. Se usato con cura è capace di plasmare non solo un’opera di scultura o pittorica. Pensare che un tempo, l’arte si limitava ad un campo molto ristretto di tecniche oggi, invece, anche i materiali di riciclo possono essere trasformati, rimodellati per diventare opere d’arte. L’arte può fare la differenza tra una rivoluzione violenta o pacifica. Le più recenti forme di protesta in Turchia sono diventate non semplici raduni di manifestanti ma una protesta silenziosa, immobile, con le persone ferme con un giornale o un libro in mano. Chiamarla arte? Chiamarla una forma di protesta alternativa? Può essere. È il modo di chiedere le cose che cambia. L’arte può essere gentile. Può essere paziente. Può fare tanto silenzio e provocare molto rumore.


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