La classe politica turca ha manifestato la sua incapacità di fronteggiare la gravità della situazione, un’incapacità evidenziata da giornalisti e analisti che hanno messo in luce la stretta correlazione tra il mancato rispetto dei diritti dei lavoratori e gli effetti “oscuri” del liberalismo economico turco degli ultimi anni.
testo e foto di Valeria Ferraro
Turchia. Al termine delle operazioni di salvataggio e recupero degli ultimi corpi dei 300 – e più – minatori di Soma, piccolo centro a 120 km da Izmir (dopo l’esplosione dello scorso 13 maggio) non si placano le proteste scoppiate nel Paese.
Al dolore e per la sorte dei circa 800 lavoratori intrappolati sottoterra si sono aggiunti, prima, la rabbia e, poi, una serie d’interrogativi: cosa è successo lì sotto? Si è trattato principalmente di una negligenza della compagnia proprietaria della miniera, la Soma Kömür İşletmeleri A.S.? O quelle morti sono un altro tributo ad un sistema economico, supportato dal partito al governo (ndr il Partito Giustizia e Sviluppo – Adalet ve Kalkınma Partisi, AKP), che non tiene conto dei diritti dei lavoratori?
Mentre andavano “in scena” (attraverso le dirette trasmesse pubblicamente, finanche sui traghetti) il dramma delle famiglie a Soma e la corsa contro il tempo dei soccorritori, la classe politica turca ha manifestato la sua incapacità di fronteggiare la gravità della situazione, un’incapacità evidenziata da giornalisti e analisti che hanno messo in luce la stretta correlazione tra il mancato rispetto dei diritti dei lavoratori e gli effetti “oscuri” del liberalismo economico turco degli ultimi anni.
I FATTI – Secondo quanto riportato dalle prime notizie, all’origine dell’incidente ci sarebbe stata l’esplosione di un trasformatore, il pomeriggio del 13 maggio, che avrebbe innescato un incendio a 2 km di profondità mentre circa 800 lavoratori, una presenza insolitamente alta dovuta al cambio di turno del personale, si trovava ai livelli sottostanti.
La mattina del 14 maggio i soccorritori avevano portato in salvo sei lavoratori e spiegato le difficoltà degli altri a scappare anche a causa dell’assenza di corrente elettrica che aveva impedito l’uso degli ascensori.
Nelle prime giornate sono stati portati in salvo 363 lavoratori e altri 122 sono stati ricoverati ma restava incerto il numero delle persone intrappolate: le cifre ufficiali parlavano di circa 300 lavoratori ai quali andavano aggiunti quelli non legalmente registrati.
Quel che è stato chiaro, fin da subito, è che molti non sarebbero usciti vivi: le maschere ad ossigeno potevano garantire un massimo di autonomia di un’ora, un’ora e mezza e c’era il rischio di morte per inalazione di monossido di carbonio.
Fin dal primo giorno, la compagnia si è difesa dalle accuse di negligenza sui sistemi di sicurezza negando le omissioni e affermando una continuità nelle ispezioni.
Il primo giorno è passato così tra la speranza, l’attesa e l’aumento della tensione, soprattutto dopo la dichiarazione del Ministro dell’Energia, Taner Yildiz, sul numero dei corpi ritrovati: 270, una cifra che, il 17 maggio, è stata ufficialmente aggiornata a 301 persone.
La morte dei minatori di Soma è diventato, così, il caso più tragico di morti sul lavoro in miniera in Turchia, prima di allora il triste primato era toccato alla città di Zonguldak, nel 1992, che aveva riportato 263 vittime a seguito dell’esplosione del 1992.
POLITICI E MANIFESTANTI – Tra i momenti più tesi dei tre giorni ufficiali di lutto, vi è stata la visita alla miniera del Primo Ministro, Recep Tayyip Erdoğan, il 14 maggio.
Dopo le prime parole di cordoglio alle famiglie, Erdoğan si è lanciato in un azzardato paragone tra gli incidenti nelle miniere della Gran Bretagna (nel XIX secolo), quelle americane e cinesi (nella prima metà del XX secolo) al fine di spiegare che, per un minatore, la morte sottoterra è un “destino” (kader) possibile.
A queste parole il dolore di molti si è trasformato in rabbia: sono scattate le prime proteste proprio a Soma, tanto che lo stesso Erdoğan è stato costretto a rifugiarsi in un supermercato, ma anche ad Ankara e altre città. Ad infiammare gli animi ha contribuito la diffusione dell’immagine di un suo consigliere speciale, Yusuf Yerkel intento a picchiare un manifestante aiutato dai militari.
Il dissenso si è espresso fortemente anche attraverso il web: c’è chi ha scritto che nessuna morte può essere un “destino” tanto meno quelle che sembrano più il frutto di un assassinio che un incidente.
Nel clima surreale della disperazione e dell’attesa, la responsabilità per le morti dei minatori è diventata oggetto di accusa reciproca tra i principali partiti, soprattutto, dopo la diffusione della notizia che i rappresentanti del maggior partito d’opposizione, il Partito Popolare Repubblicano (CumhuriyetHalkPartisi – CHP), avrebbero presentato una richiesta per dei controlli proprio su Soma, rifiutata da un membro dell’AKP di Manisa, lo scorso 29 aprile.
Più empatica è la visita del Presidente, Abdullah Gül, il 15 maggio, che si è avvicinato alla gente e si commosso pubblicamente, mostrandosi così più partecipe al dolore dei presenti.
Questo gesto non è bastato, però, a calmare le proteste che si sono estese su tutto il territorio: da quelle più violente, nelle grandi città ma nella stessa Soma, oggi blindata e isolata, a quelle più pacifiche che hanno visto e vedono una grande partecipazione degli studenti, sia universitari che liceali, e dei sindacati che, per il 15 maggio, avevano indetto lo sciopero nazionale a cui hanno partecipato in massa altri minatori, quelli di Zonguldak, che ancora ricordano le proprie vittime.
IL LATO OSCURO DELLO SVILUPPO ECONOMICO – La tragedia di Soma ha messo in luce l’assenza di tutela per i lavoratori turchi, in generale, e quelli delle miniere in particolare, ed è testimonianza di un intricato rapporto tra Stato e imprese private.
Negli ultimi anni, secondo un rapporto del PECOB (Portal on Central Eastern and Balkan Europe dell’Università di Bologna), dello scorso novembre, per supportare la propria crescita economica, la Turchia ha avuto una sviluppo della domanda energetica, in particolare, carbone, petrolio ed energia idroelettrica. Il Paese che, come afferma un rapporto dell’EURACOAL, ha cospicue risorse di lignite e riserve di antracite, ha puntato allo sviluppo del settore carbonifero, prevedendo ingenti investimenti in questo settore per i prossimi 10 anni, anche al fine di dipendere sempre meno dall’importazione di gas dall’Est.
Con la privatizzazione delle imprese e la creazione di nuove condizioni favorevoli agli investimenti, sono aumentate anche le condizioni di lavoro irregolari mascherate con il pretesto dei contratti flessibili o in subappalto.
Lo stesso proprietario della Soma, in una dichiarazione del 2012, ha affermato di aver ridotto i costi per la produzione, passando da 130-140$ per tonnellata a 23.8$, senza specificare però a quale prezzo per i lavoratori che, come si è appreso dopo l’incidente, percepiscono un salario di 1200 lire turche (più o meno 400 EU) per mese.
Sono emersi, inoltre, altri due lati oscuri del lavoro nelle miniere: la possibile presenza di minorenni, come dimostra il dibattito sull’età del giovane Cemal Yildiz, forse di soli 16 anni, e di lavoratori illegali e sottopagati.
Nonostante le smentite della compagnia e del governo, restano alcuni dati di fatto sconcertanti: la Turchia è tra i Paesi che non hanno ratificato la Convenzione sulla sicurezza e la salute nelle miniere dell’ILO (ndr Organizzazione Internazionale del Lavoro) e il Sindacato Generale per i Lavoratori nelle Miniere in Turchia ha denunciato 25,655 incidenti e 63 morti, tra il 2000 e il 2009, nelle miniere della Turkish Coal Corporation (Türkiye Taşkömürü Kurumu), di proprietà dello Stato. In aggiunta, un rapporto dell’Economy Policy Research Foundation of Turkey (Türkiye Ekonomi Politikaları Araştırma Vakfı-TEPAV) afferma che tra il 1991 e il 2008 sono morte 2.554 persone e 13.000 sono rimaste vittime di incidenti sul lavoro.
Nel caso di Soma, pur continuando a sostenere che le ispezioni erano eseguite con regolarità, il direttore della compagnia, Alp Gürkan, in una conferenza stampa del 16 maggio, ha infine ammesso l’assenza una camera di sicurezza per i lavoratori aggiungendo che sarebbe stata costruita a breve, pur non essendo la compagnia legalmente vincolata.
Basterà quest’ammissione per far ricadere la colpevolezza sulla sola compagnia e fare di Soma un caso isolato? dalle proteste in atto e dalle analisi dei giornalisti e analisti non sembra.
Anzi, secondo Cihan Tugal, nell’intervista su Jadaliyya, la tragedia di Soma è un sintomo che il modello sociopolitico che ha portato alla crescita economica della Turchia, tra il 2002 e il 2011, con il consenso di più parti sociali, nonché quello internazionale, è stato realizzato a prezzo delle strutture di sicurezza e si è rivelato una porta aperta per questo tipo d’incidenti. La soluzione è quindi un ripensamento radicale del sistema, con l’inclusione di tutte le parti sociali, e un’azione contro questo tipo d’imprenditorialità.
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