Il Dalai Lama, intervistato dal quotidiano tedesco Welt am Sonntag, ha dichiarato che lui potrebbe essere l’ultimo Dalai Lama, ponendo fine ad una secolare tradizione religiosa. “Abbiamo avuto un Dalai Lama per quasi cinque secoli. Il buddismo tibetano non dipende da un solo individuo, abbiamo una buona struttura organizzativa con monaci e studiosi altamente qualificati. L’istituzione del Dalai Lama, nata nel 1642, ha fatto il suo tempo“.
Tenzin Gyatso, nome di battesimo del Dalai Lama, manca dalla sua terra dal 1959, quando fuggì in India attraverso l’Himalaya dopo una fallita rivolta contro il dominio cinese. Da allora è stato capo del governo tibetano in esilio. Questo fino al 2011, quando rinuncia spontaneamente alle sue cariche istituzionali in favore di un successore eletto dal Parlamento esule. Nel 1989 a ricevuto il Premio Nobel per la pace per la resistenza non violenta nei confronti della Cina.
Sulla questione se egli potrà mai essere in grado di tornare in Tibet, ha affermato: “Sì, sono sicuro di questo. La Cina non può più isolarsi, deve seguire la tendenza globale verso una società democratica”. Ha poi aggiunto che “secondo i medici che mi hanno visitato arriverò a 100 anni. Stando ai miei sogni a 113. Ma a 100, credo, ci arriverò sicuramente”.
Nonostante il grande valore umano del Dalai Lama, uno tra i pochi ad aver rinunciato al potere e alla violenza, continuano le sue difficoltà nel sostenere la causa tibetana in giro per il mondo. E’ di questi giorni, infatti, la notizia secondo cui il Sud Africa gli avrebbe negato il visto in occasione del summit dei premi Nobel di Città del Capo. La motivazione è sempre la stessa: non incrinare i rapporti con la Cina, paese che considera il Dalai Lama un leader separatista.
Il Global Post, in un articolo dal titolo “Il Dalai Lama non piace a nessuno”, ha dimostrato come l’ascesa economica e politica del gigante cinese abbia di fatto interrotto i rapporti dei leader politici mondiali con il Dalai Lama. In Europa non si è ancora arrivati a negargli il visto ma nel 2012 il Governo italiano si rifiutò di incontrare ufficialmente il leader tibetano, proprio per non destabilizzare i rapporti con la Cina. La stessa cosa si è ripetuta negli ultimi anni in Norvegia, Gran Bretagna e Danimarca.
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