Un anno fa Joshua Evangelista e Marta Corradi presentavano al Babel Film Festival di Cagliari “Makhmur”, un documentario sulla vita nel campo profughi curdo in quello che era il terreno conteso tra gli arabi e i curdi d’Iraq e occupato da undicimila curdi di Turchia in fuga dalla persecuzione per le loro idee politiche e per l’appoggio dichiarato al Pkk.
Un campo profughi trasformato in un laboratorio ideologico basato sui precetti socialisti di Abdullah Ocalan. Questo è Makhmur, un villaggio di undicimila curdi nel bel mezzo del deserto iracheno costruito sulle ceneri di una fuga disumana dalla persecuzione del governo turco. Un parlamento, due camere, un’associazione per le donne e un enorme memoriale dei martiri nella guerra pluridecennale tra il Pkk e il governo di Ankara, meta di pellegrini da Medio Oriente, Turchia e dagli immigrati in Europa, America e Australia. Una piccola oasi, costantemente attaccata dal clima, dagli animali e da vecchi e nuovi nemici.
Oggi i peshmerga hanno mandato via l’Isis e provano a difenderla dalle incursioni provenienti da Mosul. E nessuno può immaginare il destino di questi uomini, donne e bambini nati in esilio. Sognando, un giorno, di tornare a casa. Nel grande Kurdistan.
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