È il 18 giugno del 1983 quando dieci donne vengono impiccate nella città iraniana di Shiraz. Nonostante la grazia chiesta dall’allora presidente americano Ronald Regan la sentenza viene portata a termine e sui giornali di tutto il mondo rimbalza la notizia della loro esecuzione. Mona Mahmudnizhad è la più giovane di queste, sedici anni, eppure la sua forza rimarrà impressa nella memoria di molti. Prima di morire dirà alla sorella maggiore: “Taraneh, guiro alla Bellezza Benedetta e a Dio che queste lacrime non sono lacrime di dispiacere. Queste sono lacrime di felicità. Non pensare mai che stia piangendo per dispiacere. Ma solo per gioia.” Le ragazze avevano un’unica colpa: essere bahá’í.
La fede bahà’ì nasce in Iran nel 1844, e sin dalla sua apparizione la comunità bahai iraniana è stata vittima di reiterate persecuzioni. Il messaggio portato dal suo fondatore, Bahà’u’llàh, è un messaggio per l’unificazione del genere umano, e l’eliminazione di ogni forma di pregiudizio; nonostane ciò il governo iraniano ha attuato continui espedienti per impedire alla nascente comunità bahá’í di professare liberamente la sua fede.
Da atti di vandalismo, con la profanazione di cimiteri bahá’í, dagli abusi subiti dai bambini nelle scuole elementari e medie gli attacchi del governo ai bahai sono tra i più svariati e radicati. Il 14 Giugno 2010 sette dirigenti bahá’í, “Yaran-i-Iran” o “Amici in Iran”che amministravano e guidavano gli affari della comunità bahá’í iraniania sono stati condannati a 20 anni di carcere: la pena più lunga mai inflitta a dei prigionieri di coscienza in Iran. La pena è stata successivamente ridotta a 10 anni poi essere successivamente riconfermata a 20. Qui di seguito riportiamo i loro nomi: Fariba Kamalabadi, Jamaloddin Khanjani, Afif Naeimi, Saeid Rezaie, Behrouz Tavakkoli, and Vahid Tizfahm, Mahvash Sabet.
Negli ultimi anni sono andati inoltre ad intensificarsi gli attacchi agli studenti bahá’í, con la loro esclusione dalle università iraniane. Per poter offrire comunque una preparazione ai suoi giovani membri, la comunità bahai ha fondato nel 1987 il Baha’i Institute for Higher Education (BIHE) . “Una risposta creativa e non violenta agli sforzi del governo per intralciare il normale sviluppo umani della comunità baha’ì”. Così ha affermato Diane Ala’i, rappresentante della bahai international community presso gli uffici dell’Onu a Ginevra
Tuttavia, anche gli incessanti e pacifici sforzi per garantire una preparazione universitaria agli studenti bahá’í è stata brutalmente negata dalle perquisizioni della polizia nelle case di diversi professori affiliati al bahai institute for higher education. A queste incursioni sono seguiti circa una trentina di arresti, che hanno portato ad ottobre 2011 all’incarcerazione di 7 di questi, con una pene detentiva dai 4 ai 5 anni. A tal proposito un recente documentario del regista iraniano Maziar Bahari intitolato to light a Candle mostra i pacifici sforzi di questo istituto in risposta alla negazione di una legittima educazione da parte del governo iraniano.
“Tanti sono gli esempi di come il governo inventi stratagemmi per impedire ai bahai di condurre una vita normale e all’interno della società iraniana. Uno in particolare riguarda l’accesso agli studi universitari. Per tutti i ragazzi iraniani di 18 anni è obbligatorio sostenere un esame per entrare nelle differenti università, e i risultati vengono pubblicati ogni anno in luglio e agosto. Quest’anno per i bahá’í che hanno sostenuto questo esame, non è stato pubblicato nessun risultato. La giustificazione data loro riguardava la manacanza di una documentazione appropriata o ritenuta insufficiente, bloccando quindi i loro percorso di studi.”
Così ci racconta un giovane iraniano residente in Italia per continuare i suoi studi universitari. Per ragioni di sicurezza ha preferito rimanere anonimo. Nonostante questo ha deciso di condividere con noi il suo pensiero come non bahá’í, in merito ai soprusi subiti dalla comunità bahá’í in Iran.
Si sente parlare molto dei bahá’í in Iran?
“Il governo non parla mai riguardo ai bahá’í. Ha paura che alcune persone possano avvicinarsi alla fede. In tv, sui giornali non si leggono mai news riguardo alla comunità bahá’í. È un taboo. C’è un grosso filtro sia nelle tv che sui giornali governativi. L’idea del governo e delle persone che lavorano o che sono in qualche modo collegate al governo è che i bahá’í costituiscano un pericolo.”
Come fa il governo ad individuare le persone bahá’í?
“Molte delle volte coloro che sono bahá’í non lo dichiarano. Tuttavia il governo dispone di molte spie, e il più delle volte riesce ad arrivare a loro grazie ad un servizio di intelligence. Inoltre, negli ultimi anni, ad ogni studente che decida di iscriversi all’università è chiesto di compilare un questionario, un documento dove debba esplicitamente dichiarare a quale religione appartiene e una volta che appare il nome “bahá’í” la richiesta di ammissione viene negata”.
Quali informazioni diffonde il governo sui bahá’í?
“Il governo cerca in tutti i modi di screditare i credenti bahá’í e la loro fede. Molte delle cose che si sentono dire riguardo al loro credo è che sono satanici, che portano idee contro l’Islam. Ma le nuove generazioni, soprattutto coloro nati dopo la rivoluzione islamica del 1979 non credono alle idee diffuse dal governo.”
Qual è la maggior accusa rivolta ai bahai?
“Quando il governo arresta qualche bahai, viene subito accusato di essere una spia di Israele. (Il centro mondiale baha’ì si trova ad Haifa, a nord di Israele). E questa è la peggior accusa che una persona possa ricevere in Iran, sia essa bahá’í o no. Come nemico giurato dell’Iran, essere considerati spie di Israele comporta la sicura incarcerazione, ed è difficile provarne il contrario.”
Esiste un movimento in Iran per la difesa dei diritti dei bahai?
“Formalmente no. Ma negli ultimi anni note personalità iraniane si sono alzate in difesa dei diritti dei bahai. L’avvocatessa per i diritti umani Nasrin Sotoudeh e la sua collega premio nobel per la pace Shirin Ebadi hanno parlato apertamente in favore dei bahá’í e di altre minoranze religiose. Il regista Mohammad Nourizad ha recentemente baciato i piedi di un bambino bahá’í i cui genitori sono in carcere, chiedendo personalmente scusa per il dolore provocato dal governo alla sua famiglia.”
Credi che la situazione possa migliorare negli anni avvenire?
“Sicuramente con il tempo la situazione potrà cambiare. In particolare non dobbiamo trascurare il potere dei media. Oggi chiunque attraverso i social networks può constatare come le azioni contro i bahá’í siano azioni ingiuste, e di come essi non costituiscano un pericolo per l’Iran”
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