Le autorità d’occupazione sospettano che la moschea di Parigi fornisca in maniera fraudolenta a individui di razza ebraica certificati che attestano che le persone interessate sono di religione musulmana. All’imam è stato chiesto in maniera molto forte di porre fine a pratiche di questo genere
nota del Ministero degli Esteri francese del 24 settembre 1940
Nella Francia dei primi anni ’40 abitavano molti nordafricani, tra cui diverse migliaia di ebrei sefarditi. Questi ultimi parlavano lingua araba e condividevano tradizioni e usi quotidiani dei corregionali musulmani. Né ebrei né musulmani consumavano carne di maiale, in entrambe le comunità era praticata la circoncisione maschile e spesso anche i nomi di persona erano molto simili. Si Kaddour Ben Ghabrit, rettore della Grande Moschea di Parigi, ha approfittato di questi fattori per offrire protezione a molti ebrei. La moschea era diventata un rifugio sicuro dalle ronde dei soldati di occupazione nazista. Gli ebrei venivano salvati dando loro falsi documenti che attestassero la loro identità musulmana, per poi essere portati dalla Resistenza in salvo fuori dal Paese. La cifra esatta degli ebrei salvati è ancora in fase di studio, ma finora le ricerche parlano di oltre 100 esseri umani sottratti alla follia genocida.
IL CASO DI SALIM HALALI
Tra le persone salvate da Ben Ghabrit anche il cantante algerino Salim Halali, considerato una vera e propria star nell’ambiente musicale franco-arabo della metà del secolo scorso. Di padre turco e di madre berbero-ebrea, Salim è arrivato a Parigi nel 1937 dove si è fatto conoscere tra i club di Flamenco parigini. Negli anni seguenti, grazie al decisivo incontro con l’artista algerino Mohamed el-Kamel, la sua carriera ha avuto una sterzata netta; un tour europeo gli ha donato fama anche nella natia Africa del Nord, dove i suoi pezzi di Flamenco in lingua araba sono diventati estremamente popolari (tra cui al-Ain Zarga, Mahenni zine e Habibti samra). Anche lui, durante l’occupazione nazista, ha ricevuto documenti falsi che potessero farlo sembrare musulmano agli occhi delle truppe tedesche. Ben Ghabrit si è addirittura personalmente assicurato che il nome del nonno del cantante fosse inciso su una lapide anonima del cimitero musulmano di Bobigny, per nascondere le sue radici ebraiche. Conosciuto come il miglior cantante straniero in Europa del suo tempo, è tornato a far parlare di se in “Les hommes libres – Gli uomini liberi”, girato in Francia nel 2011. Il film ruota attorno all’amicizia tra Younes, un immigrato algerino, e Salim Halali, nata proprio tra le mure della moschea diventata nascondiglio per ebrei. “Il film rende omaggio alle persone che nella nostra storia sono state invisibili. Mostra un’altra realtà, in cui musulmani ed ebrei coabitavano in pace. Dobbiamo ricordarlo. Con orgoglio”, ha dichiarato il regista del film Ismael Ferroukhi in un’intervista al New York Times. Il cantante ebreo è interpretato dall’attore palestinese Mahmoud Shalaby.
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KADDOUR, IL GIUSTO CHE NON HA UN POSTO NELLO YAD VASHEM
Nato in Algeria nel 1868, Si Kaddour Ben Ghabrit proveniva da un’importante famiglia andalusiana di Tlemcen. Dopo gli studi in una madrasa e poi nell’università di al-Karaouine a Fez, ha iniziato la sua carriera giuridica. Diventato assistente interprete del Legato di Francia a Tangeri nel 1982, ha ricoperto il delicato ruolo di collegamento tra le autorità nordafricane e il Ministero degli Affari Esteri francese.
Come simbolo della lunga amicizia tra Francia e Islam e per ricordare il sacrificio di decine di migliaia di soldati musulmani morti per difendere la Francia nella Prima Guerra Mondiale, nel 1920 Si Kaddour Ben Ghabrit aveva chiesto il permesso di costruire una moschea a Parigi. Inizialmente promossa anche dal Re del Marocco, la Grande Mosquee de Paris è stata finita di costruire nel 1926. L’Istituto Islamico provvedeva, oltre a consulenze spirituale, anche servizi di assistenza a bisognosi e di supporto ai nuovi immigrati per farli integrare al meglio in città.
Uomo colto e apprezzato dalla società francese, Ben Ghabrit veniva chiamato “il più parigino tra i musulmani”; il suo ruolo sociale e la stima goduta hanno notevolmente contribuito alla riuscita del suo impegno umanitario durante la Seconda Guerra Mondiale. Ma le sue azioni sono ancora poco conosciute e oggetto di studi e dibattiti.
Lo storico statunitense Robert Satloff, nel suo libro “Among the Righteous: Lost Stories from the Holocaust’s Long Reach into Arab Lands” scrive che nonostante gli sforzi del rettore della moschea, spesso le autorità naziste riuscivano a capire chi fosse realmente musulmano e chi, invece, era di origine ebraica. Il che spiegherebbe come mai ad ora il numero più probabile di persone salvate si aggiri attorno al centinaio. Albert Assouline, ebreo nordafricano scappato dalla persecuzione in Germania, ha però raccolto – in una pubblicazione francese del 1983 – le proprie esperienze sulla permanenza nella moschea di Parigi, dichiarando che “non meno di 1,732 partigiani si rifugiarono nella moschea” e facendo notare che “molti di loro erano ebrei”.
Al netto delle disquisizioni quantitative, l’eroica presa di posizione del rettore è fuori discussione. Nel 2005 è stata avanzata una richiesta allo Yad Vashem, il memoriale israeliano su coloro che hanno salvato gli ebrei durante la persecuzione nazista, affinché riconoscessero Ben Ghabrit tra i “giusti”. Ma la richiesta è stata respinta, in attesa di dati ufficiali. Circa 24mila persone sono menzionate nel memoriale dell’Olocausto; tra queste solo poche decine di musulmani e un solo arabo, il medico egiziano Mohammed Helmy.
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