A seguito degli attacchi terroristici che hanno scosso la Francia e l’Occidente intero, diversi cori si sono levati contro il trattato di Schengen. Il primo a mettere in discussione la convenzione garante della libera circolazione dei cittadini che risiedono nei paesi aderenti è stato il ministro degli Interni francese Bernard Cazeneuve, cui hanno subito fatto eco la Spagna e movimenti di estrema destra come Lega Nord e Front National. “Bisogna valutare possibili modifiche al sistema Schengen – ha dichiarato il ministro francese – per lottare contro il terrorismo”.
Pronta la risposta di Renzi e Merkel che hanno escluso modifiche. Anche il ministro degli Interni italiano Angelino Alfano ha dichiarato che “il trattato di Schengen è una grande conquista di libertà, non si può regalare ai terroristi il successo di tornare indietro”.
Ma vediamo come funziona il trattato di libera circolazione in Europa di cui tanto si sta parlando in queste ore.
Schengen è il nome di una città lussemburghese dove nel 1985 capi di Stato e di governo di Francia, Germania, Belgio, Lussemburgo e Paesi Bassi si riunirono e decisero di creare un territorio privo di frontiere, consentendo di aprire la strada a un nuovo livello di integrazione europea. Questo territorio venne denominato “spazio Schengen”.
L’istituzione alla fine degli anni ‘50 del Mercato Europeo Comune (Mec) creò uno spazio economico unificato di libera concorrenza tra le imprese e cambiò le condizioni di scambio dei prodotti e dei servizi. Fu questo progetto a far sorgere l’esigenza di una nuova politica comunitaria di immigrazione (visti, asilo), non il contrario.
Se non si fossero previamente concertate politiche comuni in materia di immigrazione, gli stati che avessero abbracciato una politica più favorevole o caratterizzata da controlli meno rigidi, avrebbero compromesso la tenuta dell’intero sistema e offerto una via d’ingresso al territorio del mercato comune, eludendo eventualmente legislazioni più severe di altri stati. Esempio: gli stati A, B e C fanno parte di un insieme e fra i territori non sono previste frontiere interne, ma solo una grande comune frontiera esterna verso altri paesi. Se A fa entrare tutti, mentre B e C solo alcune persone, allora è ovvio che tutti potranno entrare nel territorio comune dei tre stati semplicemente facendo il loro ingresso da A (aggirando così i limiti posti da B e C).
L’Europa “senza frontiere” che conosciamo oggi, pertanto, non venne creata in un’unica soluzione: prese le mosse dai primi, ristretti e limitati accordi del 1985, per poi evolversi ed estendersi a un numero sempre maggiore di Stati membri e ad alcuni Stati terzi. I primi stati terzi che aderirono al trattato furono l’Islanda, la Norvegia, la Svizzera e il Leichtenstein. L’Italia ha firmato gli accordi nel 1990, mentre Spagna e Portogallo hanno aderito nel 1991. La Grecia nel 1992, l’Austria nel 1995, mentre la Finlandia, la Svezia e la Danimarca vi aderirono solamente nel 1996. Irlanda e Regno Unito hanno partecipato solo parzialmente all’acquisizione di Schengen, mantenendo i controlli delle persone alle loro frontiere.
Questo per via dell’impossibilità di trovare, all’epoca e in parte ancora oggi, una posizione comune fra tutti gli stati interessati in relazione ai criteri cui conformare l’abolizione delle frontiere.
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A QUALI CONDIZIONI UNO STRANIERO PUO’ ENTRARE IN ITALIA – L’ingresso nel territorio italiano degli stranieri è consentito esclusivamente previo accertamento del possesso di determinati requisiti. Lo straniero (inteso come cittadino che non fa parte di uno dei paesi europei appartenenti al trattato o di uno dei paesi terzi che vi hanno aderito) che fosse sprovvisto anche solo di uno di tali requisiti, può essere respinto alla frontiera, anche se in possesso di un regolare visto d’ingresso o di transito.
Il cittadino straniero che voglia entrare in Italia deve necessariamente:
- presentarsi per l’ingresso nell’area Schengen attraverso un valico di frontiera fra quelli disponibili
- essere in possesso di un passaporto o di altro documento di viaggio equivalente riconosciuto valido per l’attraversamento delle frontiere
- disporre di documenti che giustifichino lo scopo e le condizioni del soggiorno
- dimostrare di disporre di mezzi finanziari sufficienti in relazione alla natura, alla durata prevista del soggiorno, ed alle spese per il ritorno nel Paese di provenienza (o per il transito verso uno Stato terzo)
- non essere stato segnalato ai fini della non ammissione nel Sistema Informativo Schengen (SIS)
- non essere considerato pericoloso per l’ordine pubblico, la sicurezza nazionale o le relazioni internazionali di una delle Parti contraenti, da disposizioni nazionali o di altri Stati Schengen
- essere munito, ove prescritto, di un valido visto di ingresso o di transito
- il visto può essere: individuale, rilasciato al singolo e apposto sul suo passaporto o collettivo, rilasciato a un gruppo di stranieri, di durata non superiore a 30 giorni.
Il cittadino straniero deve inoltre attestare:
- la finalità del viaggio
- i mezzi di trasporto e di ritorno
- i mezzi di sostentamento durante il viaggio ed il soggiorno
- le condizioni di alloggio
Dati Ministero degli Esteri.
QUANDO E’ POSSIBILE SOSPENDERE GLI ACCORDI – A norma dell’articolo 78 comma 3 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (Tfue, così è stato rinominato il Tce a seguito dell’entrata in vigore del recente Trattato di Lisbona), “qualora uno o più Stati membri debbano affrontare una situazione di emergenza caratterizzata da un afflusso improvviso di cittadini di paesi terzi, il Consiglio, su proposta della Commissione, può adottare misure temporanee a beneficio dello Stato membro o degli Stati membri interessati. Esso delibera previa consultazione del Parlamento europeo.”
In particolari casi di emergenza, quindi, qualora si producesse un afflusso improvviso di cittadini di paesi terzi in uno stato membro, su proposta della Commissione e previa consultazione del Parlamento europeo, il Consiglio potrà adottare “misure temporanee a beneficio dello Stato membro interessato per limitare la libera circolazione o l’ingresso dei cittadini di detto paese terzo”, ad esempio, ripristinando i controlli alle frontiere.
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