Dagli esordi alla Nazionale di MMA: Asterio Lucchesini si racconta

Asterio Lucchesini, eccellenza italiana dello sport e membro della Nazionale di MMA, è sceso dal tatami per raccontarsi a Frontiere News.

 

Cosa sono le MMA?

“Le MMA, nate in Brasile negli anni ’80, sono state concepite come un confronto diretto fra discipline differenti per testare quale fosse la più completa ed efficace. Con questo termine, che sta per Mixed Martial Arts, si indica uno sport da combattimento a contatto pieno il cui regolamento consente l’utilizzo sia di tecniche di striking (calci, pugni, gomitate e ginocchiate), sia di tecniche di lotta (proiezioni, leve e strangolamenti).
Per me e per milioni di altri praticanti nel mondo sono pura Passione.”

 

Come hai iniziato?

“Sebbene da piccolo abbia praticato per alcuni anni karate la mia ‘carriera marziale’ è iniziata relativamente tardi. A 16 anni mi sono iscritto in una palestra per praticare jeet kune do (l’arte marziale di Bruce Lee). Dopo alcuni anni di pratica ho sentito la necessità di ‘testare’, sul ring, quello che avevo imparato in palestra e mi sono iscritto alla prima gara di k1 light: quel tipo di approccio mi è piaciuto sempre di più ed ho iniziato a partecipare a più gare possibili sia di striking (kick boxing e k1) sia di grappling (lotta a terra). Nella mia strada ho avuto la fortuna di conoscere insegnanti, che ora sono cari amici, come Luca Sabatini e Paolo Strazzullo: mi hanno trasmesso la loro passione e la loro professionalità e mi hanno permesso di migliorare anno dopo anno.”

 

Cosa senti quando guardi negli occhi i tuoi avversari?

“Quando sali su un ring o entri dentro una gabbia le emozioni che si provano sono contrastanti. Negli istanti prima del match , durante la preparazione, si accavallano momenti di convinzione estrema nei propri mezzi e momenti di insicurezza. Sicuramente il momento di maggior stress agonistico , e anche quello in cui l’approccio mentale la fa da padrone, è quando incroci lo sguardo del tuo avversario e lo vedi estremamente determinato, estremamente convinto: ecco, in quel preciso istante si gioca una buona parte del match. Se cedi allo sguardo dell avversario, sicuramente lui partirà con un vantaggio psicologico dettato dal fatto che pensa che te hai paura. Se riesci a sopportarlo, il tuo corpo reagirà positivamente all’input dettato dalla gestione dello stress ed inizierai il match più sereno. Quando suona la campanella, poi, si spengono le emozioni e iniziano gli automatismi, le combinazioni provate e riprovate fino alla nausea. A fine match, invece, prevalgono la stanchezza, la soddisfazione e soprattutto la gratitudine nei confronti del tuo avversario, con il quale hai scambiato colpi per tre riprese ma verso il quale non provi assolutamente nessun odio, anzi: dopo il match aumenta il rispetto.”

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E poi è arrivata la prima Coppa Italia…

“Il 31 ottobre 2011 è una data che non scorderò mai: e pensare che non avrei voluto partecipare a quel torneo per problemi personali…
Alla fine i miei istruttori mi hanno convinto e mi hanno costruito attorno una rete di aiuti a livello tecnico e mentale da far invidia a un professionista. Due settimane prima ero uscito vincente da un match di k1 contatto pieno e sicuramente questo aveva aumentato la mia autostima. Tutta la tensione si è fatta sentire con il primo avversario, un lottatore di Milano: ha provato a imporre la sua strategia, impostata sul corpo a corpo ma, con un po’ di fortuna e un po’ di abilità, sono riuscito a finalizzarlo con una leva al braccio. Dopo quella vittoria ero sicuro che fosse la giornata giusta.
La finale, invece, è stata molto combattuta a livello emotivo, perché ho dovuto affrontare un amico, una persona con la quale mi ero allenato spesso e che stimo molto. Alla fine del match, dal quale sono uscito vincente, non dimenticherò mai l’abbraccio che ci siamo dati e il ‘senza rancore’ detto tra due atleti che si sono affrontati sapendo che, a prescindere dall’esito del combattimento, non avrebbero messo in discussione la stima reciproca.”

 

Dopo la Coppa Italia, sono arrivate le trasferte all’estero.

“In realtà dopo il 2011 ho avuto uno stop per lavoro e uno per infortunio che mi hanno tenuto fuori dalle competizioni per 2 anni circa. Ho continuato ad allenarmi sempre con la consapevolezza che sarei tornato a gareggiare e con la voglia di chi si allena per passione. Nel 2014 ho vinto la seconda Coppa Italia dopo 2 match molto combattuti e finiti entrambi prima del tempo, uno per finalizzazione uno per ko tecnico. Poi è arrivata la chiamata per rappresentare la Nazionale Italiana nel Mondiale a squadre a Las Vegas. Un altro pianeta: capacità organizzativa, livello tecnico altissimo e soprattutto una location degna dei grandi eventi professionistici. Basti sapere che le finali si sono disputate all’interno dell’UFC Fan Expo 2014 al Mandalay Bay, uno tra i più importanti hotel di lusso di Las Vegas.
Lo scorso novembre sono andato anche in Azerbaijan per disputare il Campionato Europeo dilettanti. Sebbene il contesto fosse completamente diverso, anche lì ho respirato il vero spirito delle MMA: organizzazione decisamente più minimale ma estremamente competente, tipica dell’Est Europa, e ambiente molto più rigido. Atleti concentrati al massimo che hanno dato dimostrazione di grandissime doti tecniche e atletiche. Molti di questi atleti dilettanti sono addirittura supportati direttamente dallo Stato e stipendiati come atleti di punta. La differenza sostanziale sta nell’approccio che si ha nei confronti degli sport da combattimento da parte dell’atleta e dello spettatore: anche in questo sport, come negli altri, la diffusione è possibile solo se ci sono degli investimenti importanti che ne supportano il cammino. Gli investimenti si ottengono quando lo sport è seguito e quindi suscita interesse a livello pubblicitario.
Purtroppo in Italia i media giudicano questi sport come violenti e diseducativi, e questo fa sì che sia difficile far capire il vero approccio che c’è dietro ogni sport da contatto praticato con professionalità.”

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 Si dice spesso che le persone che praticano un’arte marziale o uno sport di combattimento abbiano una fonte di ispirazione: qual è la tua?

“Come moltissimi altri praticanti di arti marziali e sport da combattimento mi sono avvicinato a questo sport grazie alla figura di Bruce Lee che ha rappresentato, per molti ragazzi della mia generazione, il super uomo che con le arti marziali poteva sconfiggere i ‘cattivi’. Parlando di grandi campioni più recenti, mi affascinano molto gli atleti che mantengono, anche durante un combattimento, la marzialità e la compostezza. I tre che preferisco in assoluto sono George St.Pierre, per la sua continua ricerca della perfezione del gesto tecnico; Lyoto Machida per il suo controllo dello spazio di gara e il rispetto che mostra nei confronti dell’avversario a fine match e da ultimo, ma forse anche il più completo, Fedor Emilianenko che, a mio avviso, è la sintesi perfetta tra tecnica, forza e gestione emotiva.”

 

C’è qualcosa che dici sempre ai ragazzi a cui insegni?

“Con i miei ragazzi curo molto la parte tecnico/atletica, ma do molta importanza anche all’approccio mentale durante tutto l’anno e soprattutto nel periodo pre gara. La cosa su cui lavoriamo molto è la capacità di rimanere lucidi e concentrati nonostante lo sforzo e lo stress emotivo. Rimanere concentranti è fondamentale per non andare in debito di ossigeno e per non commettere errori ingenui e compromettere la prestazione per motivi futili. Sono convinto, inoltre, che mantenere la lucidità mentale in occasioni del genere giovi molto anche all’equilibrio psicofisico del ragazzo durante la sua vita quotidiana.”

 

Come reagisci a una sconfitta?

“In genere sono molto critico con me stesso e le prime domande che mi pongo dopo una sconfitta sono: ‘hai dato il massimo o avresti potuto fare meglio? Hai sbagliato te oppure è stato più bravo il tuo avversario?’ Se la sconfitta è dovuta ad una mia carenza, prima di allenare tecniche nuove o combinazioni migliori, cerco di colmare questo mio deficit. Se è dovuta al fatto che il mio avversario è stato più bravo di me in quell’occasione, mi metto a testa bassa ad allenarmi con più intensità e tenacia per far sì che non si ripeta una seconda volta. In genere, comunque, reagisco sempre allo stesso modo: mi alleno sempre di più e sempre meglio, cercando nuovi sparring partner e mettendomi in difficoltà il più possibile: come si dice in questi casi, ‘train hard, fight easy’.”

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Qual è il ricordo più bello che ti porti dietro?

“Ci sono due momenti che non scorderò mai. Il primo è stato quando, dopo aver perso il mio primissimo match in assoluto di contatto leggero, ho sentito qualcosa che mi ha spinto a non mollare, anzi, a voler reagire, crescere ed impegnarmi. In quel momento ho pensato che quello era lo sport per me.
Il secondo è stato quando sono tornato sul tatami dopo un infortunio, del quale porto ancora le conseguenze. I mesi successivi a quell’incidente, tra l’altro accaduto in gara, ho pensato che non avrei più potuto gareggiare. L’infortunio mi ha insegnato che tutti siamo mortali e ad ascoltare le necessità del mio fisico. Dopo circa 1 anno sono tornato a combattere in classe A per la coppa Italia vincendola, ed è stato indescrivibile.”

 

 

 


Profilo dell'autore

Marta Carboni
Marta ha collaborato con varie agenzie di stampa e con Frontiere News. Si è laureata in Scienze della Comunicazione, Informazione e Marketing alla Lumsa di Roma e successivamente ha conseguito un master in Critica Giornalistica per Teatro, Cinema, Televisione e Musica all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica "Silvio d’Amico". Al momento si trova in Irlanda, dove lavora come team manager per Telus International.

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