di Joshua Evangelista
La notte del 24 aprile 1915 il Governo ottomano arrestò ed imprigionò circa 250 intellettuali armeni. Iniziò quello che tutti noi conosciamo come Genocidio degli armeni. Tra la primavera e l’estate del 1915, in tutte le aree non coinvolte direttamente nella guerra, gli armeni furono deportati dalle proprie abitazioni. Gruppi composti da decine di migliaia di persone tra cui donne e bambini furono guidati, per centinaia di chilometri, verso il deserto siriano.
Ufficialmente si chiamava “programma di reinsediamento”. Le testimonianze dei sopravvissuti sono colme di racconti sul trattamento brutale dei deportati. Delle vere e proprie marce della morte, fatte, come ha raccontato qualcuno, “con precisione chirurgica”: l’enorme numero di persone fu allontanato dalle proprie abitazioni senza la necessità di distruggere gli immobili, spesso promessi dall’esercito ai mercenari curdi o ai vicini di casa collaborazionisti. Il processo di spostamento, quindi, fu orchestrata dal Cup come un vero e proprio saccheggio di massa, indolore e molto fruttifero per la popolazione turca.
Una volta eliminati gli uomini in età occupazionale, le deportazioni procedettero con poca resistenza. I convogli furono spesso lasciate alla mercé di bande nomadi. Del resto il governo aveva autorizzato la formazione di “bande di macellai” , per lo più detenuti rilasciati dalle carceri ed espressamente arruolati nelle unità della Teshkilâti Mahsusa. Nel piano scientifico di deportazione fu data molta importanza al fattore nutrizionale. Secondo gli storici, la fame e la negazione dell’acqua hanno avuto un peso considerevole nel processo di sterminio durante il percorso nel deserto. I superstiti che raggiunsero la Siria settentrionale furono raccolti in una serie di campi di concentramento, abbandonati sotto il sole cocente del deserto. La resistenza alla deportazione, ad ogni modo, fu molto rara.
Un caso eccezionale fu senza dubbio quella dei montanari del Musa Dagh, che si difesero nelle altezze sopra i loro villaggi fino a quando delle navi francesi da guerra che stavano attraversando il Mediterraneo orientale li rilevarono e li portarono in salvo.
Gli abitanti della città di Van si difesero fino allo stremo, incoraggiati dall’avanzata delle forze russe. La resistenza durò un mese, poi nel maggio del 1915 l’esercito russi si ritirò e la popolazione armena in fuga fu braccata dalle forze irregolari fino alla disfatta. Tolte poche vicende eroiche, la sopravvivenza degli armeni è in gran parte da attribuire non ad atti di resistenza, ma all’intervento umanitario guidato dall’ambasciatore americano Henry Morgenthau. Fu grazie agli sforzi di Morgenthau, infatti, che la condizione degli armeni fu resa nota negli Stati Uniti. Il Congresso autorizzò la costituzione di un comitato il cui impegno fu quello di raccogliere fondi per sfamare “gli Armeni che stanno morendo di fame”. Il comitato svolse un ruolo chiave nella creazione di campi profughi, orfanotrofi, ambulatori e strutture educative.
DOPO IL GENOCIDIO. Nel dopoguerra quasi 400 tra i funzionari del Cup con un ruolo chiave nelle atrocità commesse contro gli armeni furono arrestati. In diversi tribunali militari nazionali gli imputati furono accusati di reati come la condotta di una guerra di aggressione e la cospirazione contro la popolazione armena, così come di crimini più espliciti, compreso il massacro . Solo alcuni degli imputati sono stati giudicati colpevoli. In alcuni casi i sopravvissuti decisero di ovviare alle lacune della legge ordinaria e di farsi giustizia da soli. È il caso un gruppo clandestino di sopravvissuti che riuscì a rintracciare uno dei maggiori cospiratori del Cup, l’architetto Talaat, considerato tra i principali strateghi del genocidio. Rifugiatosi in Germania, Tallat fu ucciso nel 1921 a Berlino, dove era andato a nascondersi. Il suo assassino fu assolto da un tribunale tedesco.
La via più battuta per eludere la giustizia fu quella di aderire al nuovo movimento nazionalista turco guidato da Mustafa Kemal. In una serie di campagne militari contro l’Armenia russa nel 1920, contro gli armeni rifugiatisi in Cilicia, nel sud della Turchia nel 1921, e contro l’esercito greco, che aveva occupato Smirne, dove era sopravvissuta l’ultima comunità armena in Anatolia (1922), le forze nazionaliste completarono il processo di sradicamento degli armeni attraverso ulteriori espulsioni e massacri. Quando nel 1923 la Turchia fu dichiarata una repubblica, ricevendo il riconoscimento internazionale, la questione armena fu presto dimenticata dalla comunità internazionale.
LA DIASPORA. Si stima che fino a un milione e mezzo di armeni morirono per mano delle forze militari e paramilitari turche ottomane attraverso atrocità inflitte intenzionalmente per eliminare demograficamente la presenza armena in Turchia. I rifugiati sopravvissuti si diffusero in tutto il mondo e si stabilirono principalmente negli Stati Uniti e in una altra ventina di altri Paesi.
Trionfante nel successo dell’annientamento degli armeni e quindi liberata da tutti gli obblighi verso le vittime e i sopravvissuti, la Repubblica di Turchia da subito respinse ogni accusa di genocidio, negando che dietro alle deportazioni e alle atrocità fosse prese un piano deliberato per lo sterminio degli armeni.
IL RICONOSCIMENTO INTERNAZIONALE. Quello che i sostenitori della “versione turca” rifiutano di ammettere è che gli armeni (in qualità di gruppo nazionale, etnico e religioso) siano stati uccisi intenzionalmente o sottoposti deliberatamente a condizioni di vita intese a provocarne l’eliminazione fisica (leggi il nostro speciale sul punto di vista turco). Dal punto di vista armeno, generalmente condiviso all’interno della comunità internazionale, l’intento dello sterminio può essere accertato grazie a tre categorie documentarie: le testimonianze degli stranieri presenti in territorio ottomano nel 1915 e nel 1916; i documenti ottomani e i racconti dei superstiti. L’intento programmatico del genocidio cominciò a trapelare, nel corso degli ultimi decenni, da alcune dichiarazioni di dissidenti turchi trasferiti in Europa.
Il primo riconoscimento internazionale del genocidio armeno è del 1984. In quell’anno il Tribunale permanente dei popoli affermò che: “Lo sterminio delle popolazioni armene con la deportazione ed il massacro costituisce un crimine imprescrittibile di genocidio ai sensi della Convenzione del 9 dicembre 1948 per la Prevenzione e la Repressione del crimine di genocidio”). L’anno successivo fu il turno della “Sottocommissione per la lotta contro le misure discriminatorie e per la protezione delle minoranze” della Commissione dei Diritti dell’Uomo dell’ONU che, nella seduta del 29 agosto 1985, riconobbe il genocidio armeno. I documenti generalmente presi in considerazione furono il Blue Book inglese e il Rapporto Lepsius, due fonti che racchiudono rapporti consolari e testimonianze di civili. Il Blue Book fu pubblicato nel 1916 e contiene la maggior parte delle testimonianze dei civili neutrali, tra funzionari, missionari, insegnanti e infermieri principalmente americani, svizzeri, danesi e tedeschi. Il Rapporto Lepsius contiene testimonianze raccolte di prima mano dal pastore Johannes Lepsius durante un viaggio a Costantinopoli del 1915 e documenti ai quali riuscì ad aver accesso. Altri resoconti dettagliati sui vari eccidi sono presenti nelle memorie di diplomatici francesi, bulgari, svedesi e italiani, come il console di Trebisonda, Giovanni Gorrini.
Il Parlamento Europeo, nella risoluzione del 18 giugno 1987, pur deprecando il “terrorismo assurdo di alcuni gruppi armeni condannato dalla stragrande maggioranza del popolo armeno”, riconobbe il genocidio armeno e stabilì che rifiutare il riconoscimento di tale crimine sarebbe stato un ostacolo all’accettazione della Turchia nell’alveo dei Paesi membri dell’Unione Europea. Approfondendo la lettura della risoluzione, si evince che “i tragici eventi verificatisi tra il 1915 e il 1917 a danno degli armeni residenti nell’Impero Ottomano costituiscono un genocidio ai sensi della Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio adottata dall’Assemblea generale dell’ONU il 9 dicembre 1948. Riconosce, tuttavia, che l’attuale Turchia non può essere ritenuta responsabile del dramma vissuto dagli armeni dell’Impero Ottomano e sottolinea che il riconoscimento di tali eventi storici come genocidio non può dar luogo ad alcuna rivendicazione di ordine politico, giuridico o materiale nei confronti dell’attuale Turchia. Ritiene che il rifiuto del Governo turco di riconoscere il massacro commesso ai danni del popolo armeno costituisce un ostacolo insormontabile alla presa in esame di un’eventuale adesione della Turchia alla Comunità Europea”). Questa risoluzione ha portato ad un acceso dibattito tra gli storici turchi, quelli armeni e gli studiosi internazionali, con questi ultimi che hanno sempre cercato di ponderare le analisi e le cifre delle due parti chiamate in causa, pur riconoscendo quasi all’unanimità che l’uccisione degli armeni a cavallo della Prima guerra mondiale deve essere considerato un genocidio.
Il Governo turco a lungo ha evitato di affrontare l’argomento e tutt’ora mantiene una posizione negazionista. Del resto Ankara esercita sistematicamente delle pressioni verso gli Stati che riconoscono il genocidio armeno del 1915. La Commissione europea ha affermato che “la Turchia deve fare i conti con i periodi più dolorosi della sua storia. Il nostro pensiero va alle vittime dei terribili massacri del passato. L’Unione Europea è un progetto basato sulla riconciliazione. I Paesi che desiderano entrare nell’UE devono essere in grado di fare altrettanto con i loro vicini. La Commissione Europea si aspetta quindi che la Turchia consenta un libero dibattito su questi tragici eventi e registra i primi segnali di un’apertura in tal senso. La Commissione si attende altresì che la Turchia crei un clima favorevole a una riconciliazione duratura con l’Armenia, aprendo i propri confini e stabilendo relazioni diplomatiche con la stessa”.
L’AMMICCAMENTO FRANCESE. L’Onu ha riconosciuto il genocidio armeno nel 1985 e sono finora 21 i Parlamenti nazionali che si sono mossi nella stessa direzione: ricordiamo la Duma russa nel 1995, i Parlamenti di Bulgaria e Cipro nello stesso anno, il Senato francese nel 2000, il Parlamento svizzero nel 2003. Curiosamente manca una presa di posizione ufficiale di Washington, seppur 43 tra gli Stati Uniti d’America abbiano riconosciuto il genocidio. Merita una particolare attenzione il caso della Francia. Nel 2006 il Parlamento francese approvò un disegno di legge per la costituzione di una legge che avrebbe punito chiunque avesse rinnegato il genocidio armeno con la detenzione in carcere fino a cinque anni ed una sanzione pecuniaria di 45 mila euro. La posizione del Parlamento scatenò molteplici polemiche, non solo dal fronte turco. Si parlò di un mero “favore” verso i 600 mila armeni naturalizzati francesi e anche personalità del calibro di Orhan Pamuk, Hrant Dink e il precedente presidente Jacques Chirac criticarono l’iniziativa. Nel 2011 la Camera approvò un disegno di legge che criminalizzava il negazionismo dei genocidi, includendo nel termine sia l’Olocausto degli ebrei sia il Massacro armeno. Il disegno è diventato legge nel 2012.
ITALIA. Per quanto riguarda l’Italia, vanno menzionate le iniziative parlamentari dell’onorevole Giancarlo Pagliarini (Lega Nord) del 1998 e del 2000 che raccolsero tuttavia uno scarso consenso. Il Consigli dei ministri di allora, presieduto da Giuliano Amato, decise di accantonare la mozione ritenendo come “non opportuno per approvare un documento di riconoscimento ufficiale dello sterminio armeno il particolare momento storico-politico”. Il riconoscimento ufficiale è arrivato con una risoluzione del 17 novembre del 2000, imitando le posizioni del Parlamento europeo e Stato Vaticano. Va detto che a partire dal 1997 il genocidio armeno è stato riconosciuto da diversi enti amministrativi locali, tra i quali ricordiamo i consigli comunali di Roma, Milano, Genova, Firenze, Venezia, Padova, Parma, Ravenna, Belluno e Udine, oltre che dall’Associazione Nazionale Comuni d’Italia e dal Consiglio regionale della Lombardia. A tal proposito sono state registrate anche delle originali proteste ufficiali da parte dell’ambasciata turca a Roma verso piccole amministrazioni locali che avevano approvato mozioni di riconoscimento.
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