di Neil James Wilson, City University London
Gli attacchi di al Shabaab al college dell’università di Garissa sono un triste promemoria dell’insicurezza estrema che il Kenya deve affrontare ogni giorno e degli alti rischi della sua lotta contro uno dei più letali gruppi terroristici del mondo.
La strage segue un attacco via drone che ha ucciso Adan Garar, la “mente” del colpo al centro commerciale West Gate del 2013, che aveva indotto un certo numero di governi stranieri a sconsigliare viaggi nel paese dell’Africa orientale.
Ma si apre un altro rischio. In passato, ad attacchi come quello di Garissa sono seguite repressioni drastiche nelle libertà civili dei keniani. Questo non deve accadere di nuovo.
Democrazia in pericolo
Il massacro Garissa arriva solo poche settimane dopo che l’Alta Corte del Kenya ha confermato la decisione di sospendere otto clausole alla controversa legge sulla sicurezza del governo. Queste modifiche alla legge, introdotte per aiutare la lotta contro al-Shabaab, erano immediatamente state al centro delle polemiche.
Se la legge venisse attuata, permetterebbe allo Stato di detenere persone sospettate, ma non accusate, per quasi un anno. Ci sarebbe più spazio per la sorveglianza dei cittadini attraverso le intercettazioni. La libertà di protestare verrebbe limitata e ci sarebbero restrizioni sugli articoli considerati “insulto, minaccia, istigazione” o che possano incutere paura tra i cittadini.
I rifugiati somali sarebbero tra le persone colpite più gravemente. Il governo vede la loro presenza come una delle minacce alla sicurezza che il paese deve affrontare da quando ha invaso la Somalia nel 2011, e la successiva ondata di attacchi di al-Shabaab all’interno dei confini del Kenya ha portato ad un serio giro di vite sulla libertà dei rifugiati.
Se pienamente attuate, le leggi sulla sicurezza confinerebbero la maggior parte dei rifugiati di due campi rurali sovraffollati e porterebbe il numero totale autorizzato a soggiornare nel paese a 150.000 unità – una forte riduzione, se consideriamo che l’attuale popolazione di rifugiati in Kenya supera il mezzo milione.
Censura
Sotto attacco ci sono anche le voci di dissenso e la libertà di stampa. I giornalisti andrebbero incontro a pene detentive di tre anni per la produzione di report ritenuti in grado di minare le indagini e le operazioni di sicurezza e necessiterebbero di ulteriori permessi della polizia per riportare storie legate al terrorismo domestico.
Queste clausole sono state introdotte dopo un controverso rapporto investigativo di al-Jazeera, che ha accusato la polizia del Kenya di aver effettuato centinaia di omicidi extragiudiziali. Le modifiche alle leggi di sicurezza del paese potrebbero rendere potenzialmente illegale questo rapporto.
Nello stesso mese oltre 500 organizzazioni non governative sono state chiuse e una dichiarazione ufficiale del governo che sostiene che alcune ong “sono state e continuano ad essere utilizzate per attività criminali, tra cui finanziare il terrorismo”. E’ stato anche annunciato il piano per la costruzione di una “barriera di separazione” in stile israeliano lungo il confine con la Somalia per tenere fuori al-Shabaab. Che di fatto potrebbe mettere a repentaglio ulteriormente la vita di coloro che cercano rifugio dal gruppo terroristico.
L’ironia è che al-Shabaab sta lottando per rimanere rilevante in un mondo preoccupato dallo Stato islamico, durante i progressi della ricostruzione della Somalia guidata dall’Unione africana. Se il Kenya tratta male i rifugiati somali, e molti dei suoi cittadini, potrebbe spingere decine di nuove reclute nelle mani del gruppo, in un momento così critico.
Respinte
Nonostante l’elevato controllo della Corte sulle parti peggiori della legge, la stragrande maggioranza delle clausole approvate nel dicembre 2014 rimane incontrastata, dando vita a una lunga battaglia legislativa che i continui attacchi di al-Shabaab porteranno chiaramente a oscillare.
Tristemente, il feticcio della sicurezza è in gran parte il risultato di problemi interni. La saga del disegno di legge è stata una gradita distrazione dalla lunga serie di problemi del presidente Kenyatta con la Corte penale internazionale, dalla quale fino a poco tempo fa veniva accusato di crimini contro l’umanità.
Il popolo del Kenya ha già resistito a situazioni come questa. Nel 2003, una legge simile a quella sudafricana sul terrorismo del 2002, all’Anti-Terrorism Act del Regno Unito nel 2001 e il Patriot Act americano dello stesso anno è stato sconfitto tra le proteste di strada a Nairobi.
La società civile keniana deve rimanere ancora vigile contro i tentativi futuri di mettere in pericolo i diritti e le libertà all’interno del paese. L’attacco all’università di Garissa dimostra quanto sia letale la minaccia rappresentata da al-Shabaab. Il costo è terribile e la necessità di proteggere è fondamentale – ma il rischio di una reazione eccessiva è alto.
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