Chi era Iqbal Masih

Nato nel 1983 nel Punjab pakistano (a Muridke, circa 70 km a nord di Lahore), Iqbal Masih iniziò a lavorare a quattro anni in una fabbrica di mattoni. La sua famiglia viveva in estrema povertà, e per pagare un debito del valore pari a circa 12 dollari vendette Iqbal a un fabbricante di tappeti, che lo costrinse a lavorare fino a 12 ore al giorno in condizioni disumane.

A nove anni abbandonò di nascosto la fabbrica per partecipare a una manifestazione del Bonded Labour Liberation Front (BLLF). Presentatosi di nuovo al suo schiavista, fu picchiato duramente. Ma Iqbal si rifiutò di tornare alla sua postazione. Con scuse e pretesti quali il vitto per Iqbal o errori sul “posto di lavoro”, il padrone aumentò il debito nei confronti della famiglia del bimbo; questa, non potendo pagare le migliaia di rupie richieste, fu costretta sotto minaccia a fuggire. Accolto dalla BLLF, Iqbal poté ricominciare i propri studi.

“Nessun bambino dovrebbe impugnare mai uno strumento di lavoro. Gli unici strumenti di lavoro che un bambino dovrebbe tenere in mano sono penne e matite”.

— IQBAL MASIH

L’anno successivo iniziò il percorso che avrebbe portato Iqbal in giro per il mondo per sensibilizzare l’opinione pubblica sui diritti negati dei bambini lavoratori pakistani. Il suo impegno – concretizzatosi anche con azioni di boicottaggio dei tappeti pakistani, per fare pressione sul governo – contribuì notevolmente al dibattito sulla schiavitù mondiale e sui diritti internazionali dell’infanzia. Le pressioni internazionali costrinsero inoltre il governo di Islamabad a chiudere decine di fabbriche di tappeti che utilizzavano manodopera infantile.

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Il 16 aprile 1995 era Pasqua. La famiglia di Iqbal, di fede cristiana, si era riunita per la celebrazione pasquale. Alcuni dicono fosse un contadino, la BLLF puntò invece il dito contro “la mafia dei tappeti”: ciò che è sicuro è che a Muridke, in quello stesso giorno, Iqbal fu freddato da colpi di arma da fuoco. Al funerale parteciparono circa 800 persone. La morte di Iqbal diede alla questione del lavoro minorile un rilievo internazionale mai avuto fino a quel momento, rendendo “il ragazzino di Muridke” un vero e proprio simbolo della lotta contro lo sfruttamento.


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