From war to life

Un viaggio in Sud Sudan, nello Stato dei Laghi, alla scoperta delle madri della Contea di Awerial, che ogni giorno lottano per la sopravvivenza insieme ai loro figli

Ayen Majok Ariik, Nyamagan Dhuor e Achouth. Tre donne, tre madri. Sono loro le protagoniste di questo reportage che, a partire dal loro sguardo dei loro figli, dà voce all’emergenza che sta attraversando il paese. Del resto, diventare ed essere madre in Sud Sudan è una sfida. Le strade sono poche e per lo più sconnesse, i medicinali scarseggiano, così come le strutture sanitarie equipaggiate e il numero di operatori sanitari adeguatamente formati. Senza dimenticare che, per tradizione e cultura, le donne devono partorire a casa. Fattori che concorrono tutti a fare del Sud Sudan uno dei paesi con il più alto tasso di mortalità materna e infantile al mondo.

Il reportage indaga il problema della mortalità materna e infantile attraverso le fotografie e le interviste del fotoreporter Alessandro Rota, ma anche attraverso gli scatti inediti realizzati direttamente dalla popolazione sud sudanese con macchine usa e getta.  In questo modo la maternità viene raccontata direttamente dalle persone attraverso foto scattate con macchine usa e getta, distribuite dallo staff del CCM e da Rota. Le immagini mostrano, da un punto di vista interno e inedito, la vita quotidiana nei villaggi, i ritmi lenti, alcuni momenti di intimità e condivisione.

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Un bambino appena nato in una struttura del Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione (UNFPA) a Mingkaman, nel governatorato sud-sudanese di Laghi. Nella struttura partorisce una media di 15 donne a settimana. Mingkaman, che in passato era un piccolo villaggio, negli ultimi anni si sta ingrandendo e ora ha una popolazione di circa 75mila abitanti, formata soprattutto dalle persone che scappano dal governatorato sud-sudanese di Jonglei, dove è iniziata una grave crisi nel dicembre 2013. (Alessandro Rota)
foto di Alessandro Rota

Teresa Waweru, coordinatrice della Contea di Awerial del Comitato Collaborazione Medica, spiega che “le decisioni sono prese dalle famiglie e non dalle singole persone. Le tradizioni culturali sono la sfida più grande da affrontare se vogliamo ridurre i tassi di mortalità materna e infantile. Una giovane donna che decide di partorire in una struttura sanitaria è considerata una persona poco coraggiosa dalle più anziane. Partorire a casa è segno di forza. Si ricorre all’ambulanza sono quando la mamma o il bambino rischiano di perdere la vita. E spesso accade che si rivolgono a noi quando ormai è troppo tardi”. L’hashtag #maternityroads conduce alla scoperta di storie che ben rappresentano la situazione del Paese, dove mancano strade, mezzi trasporto, strutture sanitarie e personale formato. Fattori che concorrono tutti a fare del Sud Sudan un paese dove si registra un tasso di mortalità materna e infantile più alti al mondo.

Le tre protagoniste del reportage sono Ayen che ha dato alla luce il primo figlio a 15 anni, priva di forze perché senza cibo e festeggiata dalle danze della nonna; Nyamagan che ha partorito a casa mentre sua figlia Akur, di 18 anni e in attesa del primo bambino, si prendeva cura di lei; Achouth che è diventata mamma in una struttura sanitaria nel campo sfollati di Mingkaman, un tempo piccolo villaggio con poche centinaia di persone, trasformato dal conflitto in una città di 75000 abitanti.

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Il reportage è stato realizzato in collaborazione con l’ong Comitato Collaborazione Medica nell’ambito del progetto europeo DevReporter Network.


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