Dopo la rivoluzione ungherese del 1956, molti migranti provenienti dall’Unione Sovietica si rifugiarono in Italia, nel campo profughi “Rossi Longhi” di Latina. E tra le migliaia di richiedenti asilo che passarono di lì c’è anche Andrej Tarkovskij, tra i cineasti più grandi della storia. All’indomani della caduta del muro di Berlino nel 1989, il campo profughi di Latina è stato chiuso. Dal 1957, aveva accolto circa ottanta mila persone, che restavano in questo villaggio anomalo dentro la città per alcuni mesi, prima di ripartire verso l’Australia, il Canada e gli Stati Uniti. Un fiume umano di donne, bambini e uomini che arrivavano nel campo di accoglienza allestito in una ex caserma, gestito del Ministero dell’Interno. Quasi tutti arrivavano senza nulla, dopo viaggi rischiosi, con gli occhi pieni di fatica e di speranza. Proprio come i profughi di oggi.
IL DOCUMENTARIO – Una storia in cui si intrecciano questioni geopolitiche, sociali e umanitarie sta diventando un documentario di 52 minuti in due lingue (italiano e inglese), curato dalla giornalista e documentarista Emanuela Gasbarroni. “E’ un film sulla ricerca della libertà, sulla migrazione, l’esilio, l’accoglienza e la paura… e sullo sfondo la grande storia: l’invasione dell’Ungheria, la guerra fredda, l’elezione di Papa Woytila, la caduta del muro. Ed è una storia attuale. I migranti di ieri sono i migranti di oggi e quei paesi che un tempo ergevano muri per non far uscire le persone oggi li ergono per non farli entrare”. Un lavoro impegnativo di documentazione all’Archivio di Stato di Latina, “dove nei faldoni è possibile trovare precisi resoconti su arrivi e partenze, sull’ordine pubblico, la mensa, la sanità’, l’istruzione, ma anche cartoline, lettere, qualche foto. In mezzo a questo materiale, la scheda di registrazione di Andrej Tarkowsky “è stata una grande emozione. Il regista aveva già vinto i festival di Cannes e di Venezia, ma in Russia non lo facevano lavorare per la censura sui suoi lavori. Venne in Italia grazie a Tonino Guerra a girare Nostalghia. Quando il regista chiese asilo politico fu un caso che ebbe un clamore internazionale. Anche se non alloggiò al campo, qui fece la documentazione per regolarizzare la sua posizione e restano le tracce del suo doloroso esilio”.
Il progetto è stato selezionato agli Ids (Italian documentary screenings) e gode del patrocinio della Robert F. Kennedy Human Rights Europe. Su Produzioni dal basso è partito il crowdfunding per il completamente delle riprese, per il montaggio e per la post produzione.
LE STORIE – Nel campo sono passati operai, artisti, ladri, ingegneri, prostitute, intellettuali, famiglie ed ex carcerati e la città spesso percepiva il campo con paura, non essendo facilitata in alcun modo dalle istituzioni ad entrare in contatto con chi vi arrivava. Le relazioni tra i latinensi e i rifugiati erano sempre spontanee e personali. Emanuela Gasbarroni ha vissuto in prima persona queste sensazione: “Nel ricostruire la storia del campo profughi, oltre alla mia storia personale di accoglienza di tre cubani e di una coppia di ventenni cecoslovacchi , che sono rimasti in contatto con la mia famiglia per decenni, ci sono le storie di Alex Konic che scappò nel 1982 dalla Romania e andò negli Stati Uniti, dove oggi lavora al Dipartimento di Stato americano, di Aurelia Klimkiewicz, che scappò dalla Polonia nel 1980 e oggi insegna alla Toronto University e di Mihai Babeanu, che scappò nel 1974 dalla Romania e oggi è un ingegnere in pensione a Parigi. Ha scritto un libro e ha dedicato un capitolo alla sua esperienza al campo profughi di Latina”.
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