di Alessandro Pagano Dritto
(Twitter: @paganodritto)
*Immagine di copertina: Da sinistra: il rappresentante del GNC Saleh Makhzoum, il Primo Ministro libico designato a ottobre dalle Nazioni Unite Fayez Serraj, il Ministro degli Esteri marocchino Salaheddine Mezouar, l’iniviato delle Nazioni Unite in Libia Martin Kobler e il rappresentante della HOR Mohamed Shuaib alla cerimonia degli accordi di Skhirat. Skhirat, Marocco, 17 dicembre 2015. (Fonte: www.reuters.com)
La raggiunta firma degli accordi di Skhirat, il 17 dicembre 2015, è sicuramente un risultato ottenuto per le Nazioni Unite dall’inviato Martin Kobler, che conclude così il lavoro lasciato in sospeso dal suo predecessore Bernardino Leon. Tuttavia l’evento non ha rallentato il tentativo di quelle parti politiche che, in seno a entrambi i parlamenti, ritengono di dover trovare una soluzione meno influenzata dalla comunità internazionale. E proprio questa nuova divisione trasversale, che potrebbe superare la precedente divisione politico – geografica tra Tripoli e Tobruk, potrebbe portare a nuovi scenari tanto in ambito civile quanto in ambito militare.
Come annunciato durante il vertice di Tunisi del 10 e 11 dicembre e poi alla conferenza di Roma del 13 successivo, ma con un giorno di ritardo rispetto al previsto, il 17 dicembre 2015 delegazioni della House of Representatives (Casa dei Rappresentanti, HOR) di Tobruk e del General National Council (Consiglio Generale Nazionale, GNC) di Tripoli firmavano un accordo nella città marocchina di Skhirat: la stessa nella quale in luglio l’allora inviato delle Nazioni Unite e presidente della United Nations Support Mission in Libya, (Missione di Supporto delle Nazioni Unite in Libia, UNSMIL) Bernardino Leon falliva un primo analogo tentativo per l’opposizione degli ambienti politici tripolini.
Raggiunto l’accordo mediato dalle Nazioni Unite, continua il dialogo alternativo.
Il successore di Leon, il tedesco Martin Kobler, è riuscito quindi questa volta a ottenere l’agognato ricongiungimento
delle due camere in un governo di unità nazionale, ma anche questa volta l’accordo non è rimasto privo di contestazioni. Secondo il sito d’informazione libico Libya Prospect il 17 dicembre le due delegazioni erano formate da 88 elementi per la HOR e «più di 30» per il GNC – la cui direzione ne conta invece ufficialmente «non più di dieci» – venendo condotte rispettivamente dai vicepresidenti Mohammed Shuaib e Saleh al Makhzoum. Aggiungendo a questi numeri quelli totali delle due assemblee, che Samia Errazouki e Rami Musa dell’Associated Press riportano essere 156 per la HOR e 135 per il GNC, si noterà che il dialogo mediato dalle Nazioni Unite sembra aver riunito più della metà dei componenti del parlamento internazionalmente riconosciuto, ma un numero minoritario tra quelli del parlamento rivale di Tripoli.
A dire il vero numeri in parte diversi sono stati in seguito forniti dalla Agence France Press per firma di Mohamad Ali Harissi: il quale, citando alcuni non meglio precisati partecipanti al vertice marocchino, sostiene invece che «circa 80 dei 188 deputati del parlamento libico internazionalmente riconosciuto e 50 dei 136 componenti del rivale GNC basato a Tripoli hanno firmato l’accordo»: secondo questi calcoli, se i numeri di Tripoli rimangono quasi identici, quelli di Tobruk cambiano abbassando di qualcosa il livello di gradimento verso la mediazione delle Nazioni Unite all’interno del parlamento orientale.
In ogni caso il risultato del vertice viene così riassunto dall’agenzia appena citata: «un governo di 17 componenti condotto dall’imprenditore Fayez Serraj come premier, basato nella capitale libica. Anche un consiglio presidenziale funzionerà per un periodo di transizione di due anni fino alle elezioni legislative».
Il vertice di Roma e la subitanea firma dell’accordo a Skhirat non hanno comunque sedato, almeno per il momento, il
dialogo alternativo che aveva preso le mosse a Tunisi lo scorso 5 dicembre e che, dopo la firma di quegli accordi ad opera delle delegazioni rappresentate da Awad Abdel Sadeq per il GNC e Ibrahim Amaish per la HOR, ha vissuto un’altra tappa importante il 16 dicembre 2015 con l’incontro dei presidenti dei due parlamenti a Malta, sotto la mediazione e il patrocinio dello stesso Primo Ministro dell’isola Joseph Muscat. In una conferenza stampa congiunta, Nuri Abu Sahmain del GNC e Ageela Saleh della HOR hanno sottolineato la necessità di concludere un accordo interlibico ma al di fuori di ogni condizionamento esterno alla Libia: condizionamento che, evidentemente, i due ravvisano nel dialogo mediato dalle Nazioni Unite e sostenuto con forza nel vertice di Roma. Per utilizzare le parole dello stesso Saleh, «non c’è dubbio che ci uniamo alla comunità internazionale perché ci aiuti a risolvere la nostra situazione, ma annunciamo anche il nostro rifiuto verso ogni imposizione straniera che non provenga dalla volontà del popolo libico. […] Sin dall’inizio sembriamo aver avuto un’unica opinione: vogliamo formare un governo di unità nazionale, ma non vogliamo che questo venga imposto da forze straniere. Un tale governo deve essere concordato dai libici».
Le due parti sperano di trovare un’intesa definitiva entro il 24 dicembre, ha riportato un portavoce del GNC citato dal Libya Observer.
Ageila Saleh says he rejects the Skhirat agreement, calls for dialogue with the involvement of Libyans only pic.twitter.com/HIxioan8x1
— Alwasat (@alwasatengnews) 21 Dicembre 2015
Secondo alcune informazioni raccolte dall’editore del Libya Herald Sami Zaptia, l’intransigenza verso il dialogo mediato dalle Nazioni Unite potrebbe essere presto fatale alla carriera politica del presidente della HOR Saleh, che potrebbe essere destituito in settimana dal suo stesso parlamento: un anonimo deputato sostiene che sarebbero già pronti per l’operazione 120 voti e un sostituto.
La questione politica: «internazionalisti» e «nazionalisti».
A questo punto, quindi, si può affermare che se all’epoca dei primi, falliti, accordi di Skhirat lo scorso luglio la situazione era quella di una HOR consensuale al dialogo mediato dalle Nazioni Unite e un GNC che invece non trovava in questo accordo sufficienti garanzie, con il successo diplomatico di dicembre la situazione muta: entrambi i parlamenti sono divisi tra chi ha deciso di aderire al dialogo internazionale e chi invece ha deciso di distanziarsene. La divisione originaria, politica e geografica, tra Tripoli e Tobruk sta lentamente sfumando evolvendosi in una nuova, presumibile, divisione tra – mettiamola così con una dicitura probabilmente inedita – «nazionalisti» e «internazionalisti». In entrambi i parlamenti i «nazionalisti», cioè coloro che appunto credono in un dialogo di matrice esclusivamente nazionale, coinvolgono almeno in parte la dirigenza del legislativo, ma potrebbero rappresentare la minoranza a Tobruk; al contrario, gli «internazionalisti» vicini alla mediazione delle Nazioni Unite e della cosiddetta comunità internazionale raggiungono al massimo il livello della vicepresidenza, ma a Tobruk costituiscono una possibile maggioranza. Ne deriva, ad opinione di chi scrive, che gli accordi di Skhirat rischiano di creare una crisi politica nell’Est libico e compattare invece attorno alla sua direzione il parlamento tripolino, che ne uscirebbe quindi con una certa, presumibile, solidità: per quanto riguarda Tobruk, l’idea di una pronta sostituzione del presidente Ageela Saleh potrebbe già andare in questa direzione.
La trasversalità dei due campi è confermata dalle ultime adesioni e dagli ultimi rifiuti riportati dalla stampa libica: nella HOR il National Front Party (Partito del Fronte Nazionale, NFP) ha criticato l’accodo di Skhirat, mentre nella Capitale la Fratellanza Musulmana, politicamente rappresentata dal Justice & Construction Party (Partito di Giustizia e Costruzione, JCP), si è dichiarata favorevole.
La questione militare: le nuove alleanze e la frattura all’interno della Libya Dawn.
Naturalmente la questione non è solo politica, ma anche e soprattutto militare: la questione della sicurezza e delle milizie presenti su tutto il territorio nazionale parallelamente alla debolezza delle strutture militari statali regolari come l’esercito e la polizia è un’eredità del conflitto del 2011 e ha giocato la sua parte prima nel clima di tensione del biennio 2012-2013 e quindi nello scoppio del secondo conflitto nel maggio 2014. L’esperto di Libia Mattia Toaldo nota che la questione sicurezza potrebbe essere stata affrontata con un altro piglio dal nuovo inviato delle Nazioni Unite in Libia Martin Kobler: «[Kobler] – si legge in un suo recente articolo – ha nominato un generale italiano, Paolo Serra, perché conduca le negoziazioni sulla sicurezza nella Capitale. Questo percorso è stato estremamente lento sotto la direzione di Leon».
Dal canto suo Kobler ha confermato all’Associated France Press il ruolo di Serra: «Speriamo di raggiungere un accordo con tutti – ha detto il presidente dell’UNSMIL -: l’esercito regolare, la polizia regolare, ma anche le milizie; così che il governo possa ritornare e naturalmente anche l’UNSMIL deve ritornare a Tripoli».
E in effetti la questione principale, tenendo ferma la situazione politica prima descritta, sarà quella di consentire l’insediamento del nuovo governo unitario nella Capitale Tripoli, dall’estate del 2014 controllata dalla coalizione militare Libya Dawn guidata dalla città di Misurata. In una mail resa pubblica dal Middle East Eye e che costituisce fino ad ora uno dei documenti principali dello scandalo che ha coinvolto Bernardino Leon provocandone forse con qualche anticipo la sostituzione, il diplomatico spagnolo scriveva che obiettivo della propria attività nell’UNSMIL era l’indebolimento politico e militare della Capitale: questo potrebbe essersi tradotto nell’abbandono progressivo, da parte almeno di alcune tra le rappresentanze misuratine, delle posizioni più filotripoline e in un parallelo avvicinamento alla mediazione delle Nazioni Unite; così che la maggioranza nazionalista del parlamento di Tripoli potrebbe in realtà contare solo su una parte minoritaria degli armati. Naturalmente è difficile ad oggi confermare la piena validità di queste ipotesi, che pure sembrano verisimili ma che comunque andranno poi testate nella pratica al momento dell’insediamento effettivo del governo a Tripoli: come riassume il già citato Sami Zaptia del Libya Herald sulla base delle informazioni da lui raccolte dai componenti della HOR, «nessuna discussione dettagliata è stata intrapresa fino ad oggi con le milizie. Non c’è ad oggi nessun piano definitivo di come e quando si entrerà a Tripoli e chi esattamente garantirà la sicurezza del governo unitario».
Il 16 dicembre Martin Kobler e Paolo Serra si recavano nella base militari di Marj, nell’Est libico, per parlare col
Generale Khalifa Hafter, capo delle forze armate orientali e principale artefice della dichiaratamente antiislamista Operation Dignity. È ben possibile che lo scopo della visita sia stato quello di imbarcare la parte più cospicua possibile delle milizie governative nell’appoggio al governo unitario, milizie che sotto la guida dell’ex gheddafiano della prima ora e oppositore dagli anni ’80 sembrano aver trovato una propria unità: come dice ancora una volta l’anonimo parlamentare della HOR ascoltato dal Libya Herald a proposito del ruolo del generale nell’economia dei fatti più recenti, «per qualche motivo – e ci sono molti possibili motivi per questo suo cambio di vedute – Hafter ha aderito all’accordo [mediato dalle Nazioni Unite]. Ageela Saleh è stato lasciato politicamente esposto e non vedo come possa sopravvivere. Gli eventi lo hanno superato».
A proposito delle forze militari orientali, bisogna ricordare che una buona parte degli «internazionalisti» di Tobruk aveva appoggiato la mediazione delle Nazioni Unite proprio a condizione del mantenimento dei vertici militari e quindi di Hafter. Il problema sarà piuttosto, a questo punto, permettere la compresenza, all’interno dello stesso esercito, di due fazioni militari sino a prima contrappostesi più o meno direttamente: le milizie di Misurata e – appunto – le forze governative orientali, che insieme avrebbero il compito di proteggere il nuovo governo unitario. Non è un mistero che l’alleanza tra Tripoli e Misurata appoggiasse, almeno a livello di principio, l’alleanza di milizie che, nell’est e particolarmente a Bengasi, si contrapponeva – e si contrappone – ad Hafter e ai governativi con il nome di Benghazi Revolutionaries’ Shura Council (Consiglio della Shura dei Rivoluzionari di Bengasi, BRSC) rifiutando di concedere al gruppo di Ansar al Sharia – che vi costituisce probabilmente gran parte – l’appellativo a priori di terrorista ufficialmente assegnatogli dalle Nazioni Unite: «Se Ansar al Sharia agisce come un gruppo terrorista, noi la combatteremo. Possiamo chiedere una commissione indipendente che verifichi se Ansar al Sharia è un gruppo terrorista oppure no. Fino a ora non ci sono prove. Io sono un uomo di legge, non posso accusare nessuno senza prove. Quello che è vero è che Ansar al Sharia ha combattuto e combatte insieme ai rivoluzionari», diceva nel novembre 2014 un ministro tripolino alla giornalista Maryline Dumas.
Due possibili indicatori: il caso passato di Derna e quello presente di Ajdabiya.
Una possibile conseguenza di un’eventuale nuova alleanza governativa tra Hafter e il grosso delle milizie della Libya Dawn potrebbe – è considerazione di chi scrive – aprire nuovi scenari anche a Est, scindendo il piano comune dell’antiheftarismo islamista che prima accomunava i nemici del generale: quelli che fisicamente lo combattevano a Bengasi e quelli che più o meno idealmente lo osteggiavano a Misurata. Il ritorno di questa frattura potrebbe però essere un avvicinamento delle ali più intransigenti del BRSC al maggiore fronte militare di opposizione ad entrambe le realtà politiche e militari libiche, ovvero lo Stato Islamico. La stessa Ansar al Sharia non è fino ad ora mai confluita ufficialmente in questa formazione, mantenendo invece la sua indipendenza, ma è vero che nel corso del 2015 la sua forza è sembrata inferiore a quella della formazione terroristica di origina siro-irachena.
In Libia c’è tuttavia almeno un precedente che fa pensare che l’opzione non sia poi così automatica, ed è proprio quello di Derna, la prima storica roccaforte dello Stato Islamico libico; città da dove in giugno la formazione nera è stata espulsa, se non da una coalizione, comunque almeno da un’operazione congiunta delle forze militari governative e quelle di matrice islamista – secondo alcuni, addirittura qaedista – che si opponevano allo stesso Hafter. Sembra che da allora vi sia per lo meno, tra i due fronti vittoriosi, una sostanziale tolleranza che ha evitato un’esplosione dell’azione militare nella zona.
#Libya – Derna’s Mujahideen Shura Council still get treatment in #Tobruk or catch flights from #Tobruk to #Tripoli for treatment. #Libya
— Mohamed Eljarh (@Eljarh) 18 Novembre 2015
@SamiBerriwen Agreement by which Libyan National Army would allow a safe corridor through a previous tribal pact. #Libya
— Mohamed Eljarh (@Eljarh) 18 Novembre 2015
Un nuovo fronte in cui potrebbero sperimentarsi gli effetti delle nuove alleanze nate con la firma degli accordi di Skhirat potrebbe poi essere quello di Ajdabiya, città della Libia orientale poco più a sud di Bengasi dove la tensione che da qualche tempo già si respirava sembra essere esplosa il 15 dicembre con confronti spesso mortali tra milizie di diverso orientamento: ribelli di non chiara affiliazione e gruppi invece affiliati alle forze governative. Al momento le autorità locali sembrano impegnate nel raggiungimento di un accordo tra le parti che eviti una replica del conflitto bengazino e parrebbe che le forze filogovernative abbiano acconsentito a lasciare il via libera a quelle ribelli affinché lascino la città. Ma la situazione è ovviamente ancora fluida e in divenire e non è legittimo trarre conclusioni premature.
In #Ajdabyia Haftar forces signed an agreement with Ansar Al Sharia to let Ansar to retreat outside of town: not clear what’s next #Libya
— nancy porsia (@nancyporsia) 19 Dicembre 2015
Profilo dell'autore
- Il primo amore è stato la letteratura, leggo e scrivo da che ne ho memoria. Poi sono arrivati la storia e il mondo, con la loro infinita varietà e con le loro infinite diversità. Gli eventi del 2011 mi lasciano innamorato della Libia: da allora ne seguo il dopoguerra e le persone che lo vivono, cercando di capire questo Paese e la sua strada.
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