Libia, l’alternativa da Tunisi

di Alessandro Pagano Dritto

(Twitter: @paganodritto)

 

La dichiarazione di principi siglata a Tunisi il 5 dicembre 2015 da componenti di entrambi i parlamenti libici evidenzia da un lato la fragilità del negoziato principale mediato dalle Nazioni Unite e dall’altra la frammentazione del panorama politico interno, in particolare dell’area di Tobruk.

 

Nella notte del 5 dicembre 2015 è stato siglato a Tunisi un accordo – altrimenti definito «dichiarazione di principi» – tra elementi del parlamento di Tripoli internazionalmente non riconosciuto, il General National Council (Consiglio Generale Nazionale, GNC), e quello invece riconosciuto di Tobruk, la House of Representatives (Casa dei Rappresentanti, HOR).

La notizia è importante perché, nonostante la più che annuale e travagliata gestione di Bernardino Leon e quella da poco iniziata di Martin Koebler, l’accordo si pone al di fuori della mediazione delle Nazioni Unite, rappresentate in Libia dalla United Nations Support Mission in Libya (Missione di Supporto delle Nazioni Unite in Libia, UNSMIL).

Secondo le ricostruzioni giornalistiche parrebbe che le due rappresentanze si siano accordate per creare una commissione di dieci elementi, cinque per ogni parte, col compito di eleggere un Primo Ministro e due vice primi ministri che rappresentino ciascuno uno dei due parlamenti rivali; adottando per il momento la Costituzione del 1963 – Muammar Gheddafi andò al potere nel 1969 – una seconda commissione si occuperebbe di stilare una nuova carta costituzionale entro due anni.

 

La risposta internazionale al vertice di Tunisi: il comunicato delle Nazioni Unite.

Al di là del contenuto specifico del documento, le immediate valutazioni da fare sono due: il valore che questo scritto

L'inviato delle Nazioni Unite in Libia, Martin Kobler. Subentrato in novembre all'ormai screditato Bernardino Leon, è attualmente impegnato in una serie di incontri con i diversi interlocutori libici per una pronta conclusione del piano di mediazione delle Nazioni Unite. (fonte: www.un.org)
L’inviato delle Nazioni Unite in Libia, Martin Kobler. Subentrato in novembre all’ormai screditato Bernardino Leon, è attualmente impegnato in una serie di incontri con i diversi interlocutori libici per una pronta conclusione del piano di mediazione delle Nazioni Unite. (fonte: www.un.org)

ha dentro la Libia e la sua accoglienza internazionale.

Alla seconda domanda pare aver già risposto il Rappresentante del Segretario Generale delle Nazioni Unite in Libia Martin Kobler, che il 6 dicembre replicava ufficialmente sottolineando – con chiara allusione agli eventi – il valore del dialogo mediato dalle Nazioni Unite come viatico per la crisi politica e militare in cui da più di un anno versa il paese nordafricano. Sembrano ancora mancare, al momento di scrivere, la risposta dell’Unione Europea e dei paesi interessati alla Libia, che non hanno prodotto alcun comunicato congiunto in merito.

Anche se questi altri attori internazionali si decidessero per una prudente politica del silenzio in modo da non assentire né dissentire ufficialmente e mantenere invece il beneficio del dubbio, sarà difficile che questa politica, se adottata, possa andare comunque oltre il 13 dicembre, quando il governo italiano dovrebbe ospitare a Roma un vertice internazionale sulla questione libica: difficile non pensare che la questione del dialogo non mediato dalle Nazioni Unite non finisca sul tavolo e non trovi una seppur implicita risposta.

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Qualche apertura sembra provenire solo dalla Tunisia, che oltre ad aver ospitato il vertice nel rione Gammarth della propria Capitale, ne ha ricevuto i firmatari auspicando, riporta la Associated Press, un loro coordinamento con le Nazioni Unite.

 

La risposta interna libica al vertice di Tunisi: la questione della legittimità dei rappresentanti.

Dal punto di vista interno la questione non è priva di simili nodi da sciogliere. Il Libya Observer ha riportato che entrambe le rappresentanze parlamentari si sono dichiarate inviate ufficiali dei rispettivi legislativi, ma bisogna osservare che nessuno dei due presidenti – Nuri Abu Sahmain per Tripoli e Ageela Saleh Gwaider per Tobruk – era presente alla firma dell’accordo; né alcuna delle due camere ha fino ad ora ratificato il documento, anche se ci sono voci che la HOR dovrebbe sottoporlo a voto in sessione plenaria. Kobler ha infatti avuto gioco facile nel confermare l’appoggio maggioritario di cui presso i due parlamenti godrebbe il percorso diplomatico mediato dalle Nazioni Unite.

Per ora si deve registrare che il sito ufficiale del GNC ha dato notizia degli eventi, il che fa supporre che la componente tripolina inviata a Tunisi abbia l’effettivo appoggio del proprio parlamento: se non ufficiale, comunque poco sembra mancarci.

Guardando alle personalità più in vista che hanno partecipato alla riunione nella capitale tunisina, la componente libica occidentale era rappresentata dal vicepresidente del parlamento tripolino, nonché membro della sua Commissione Politica, Awad Abdul Sadeq, mentre per la controparte orientale era presente Ibrahim Amaish, presentato dal Libya Herald come presidente della Commissione al Dialogo Nazionale e che, secondo il giornalista dell’Associated Press Rami Musa, deterrebbe anche la carica di presidente della Commissione Affari Giudiziari.

 

 

Tuttavia se sulla legittimità del rappresentante del GNC sembrano esserci pochi dubbi, maggiori riserve parrebbero

Da sinistra, l'ex rappresentante delle Nazioni Unite in Libia Bernardino Leon e il deputato della HOR Abu Bakr Buera ai tempi in cui quest'ultimo era parte della Commissione al Dialogo. Con la nomina dell'esecutivo Serraj e con lo scandalo degli Emirati Arabi Uniti, Abu Bakr Buera è diventato molto critico nei confronti del ruolo di mediazione delle Nazioni Unite. Ha dichiarato di supportare l'iniziativa di Tunisi. (fonte: www.hufftingtonpost.com, foto di repertorio)
Da sinistra, l’ex rappresentante delle Nazioni Unite in Libia Bernardino Leon e il deputato della HOR Abu Bakr Buera ai tempi in cui quest’ultimo era parte della Commissione al Dialogo. Con la nomina dell’esecutivo Serraj e con lo scandalo degli Emirati Arabi Uniti, Abu Bakr Buera è diventato molto critico nei confronti del ruolo di mediazione delle Nazioni Unite. Ha dichiarato di supportare l’iniziativa di Tunisi. (fonte: www.hufftingtonpost.com, foto di repertorio)

invece essersi rivelate sul rappresentante della HOR. Il Libya Herald sostiene in un suo articolo a firma di Michel Cousins che il presidente del parlamento riconosciuto Ageela Saleh Gwaider avrebbe dato ufficiosamente il suo consenso alla missione, mentre ancora Rami Musa dell’Associated Press ha riportato un portavoce di quella camera sostenere che il vertice di Tunisi sarebbe «uno sforzo individuale e un tentativo puerile di evitare la firma del vero trattato di pace»; simili critiche all’operato di Ibrahim Amaish sono state raccolte dal Libya Herald e dal Libya Prospect, tutte provenienti dall’interno della HOR. Una voce levatasi a favore del vertice è stata invece quella del noto parlamentare Abu Bakr Buera, ex componente della Commissione al Dialogo divenuto assai critico verso le Nazioni Unite soprattutto dopo lo scandalo che ne ha coinvolto l’ex portavoce in Libia Bernardino Leon: «un passo sul giusto percorso che ci allontana dall’intervento delle entità straniere e dalla manipolazione», l’ha definito l’uomo politico rivolgendosi sempre all’Associated Press.  

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Conclusioni. Valore effettivo di un accordo alternativo.

Non è ancora possibile dire quale valore effettivo avrà l’accordo raggiunto a Tunisi il 5 dicembre 2015 da rappresentanti dei due parlamenti libici: se verrà cioè ricordato come una svolta nel percorso di pace di questa seconda guerra libica oppure se la storia lo registrerà come un poco più che evanescente tentativo di appropriarsi di un percorso di pacificazione fino a questo momento dominato dalle Nazioni Unite.

Quel che è certo, al di là dell’effetto pratico ancora da vedere, è che l’accordo stesso può essere registrato come un sintomo evidente della crisi d’immagine e di efficacia che le Nazioni Unite stanno attraversando in Libia: una crisi che non inizia ai primi di novembre con lo scandalo Leon e la questione della supposta vicinanza di quest’ultimo agli Emirati Arabi Uniti, ma che si può far risalire già ai mesi precedenti e in particolare alle critiche sollevate all’indirizzo di Leon proprio in quello che doveva essere il momento culminante della sua mediazione: la proposta dell’esecutivo Serraj ai primi di ottobre.

 

 

Come giustamente osserva su Twitter la giornalista Nancy Porsia, la domanda più pertinente in vista dell’annunciata conferenza di Roma del 13 dicembre riguarda la composizione della delegazione libica: chi dal paese nordafricano andrà a discutere nella Capitale italiana di fronte agli Stati e alle istituzioni internazionali maggiormente interessati alla sua questione? Chi sceglieranno i due parlamenti? Anche questa scelta sarà molto indicativa, già prima di ogni parola, sul peso dato dalle autorità di Tripoli e Tobruk ad un’alternativa al percorso mediato dalle Nazioni Unite.

E in questo si evidenzia anche lo stato di salute dei due legislativi, là dove Tripoli appare sulla questione più compatta di quanto non lo sia al momento Tobruk, la riconosciuta Tobruk. Secondo il comunicato dell’UNSMIL la maggioranza di entrambi i parlamenti non sarebbe adesso vicina ai firmatari di Tunisi: a Tobruk 92 deputati parlamentari su circa 130 hanno avanzato una proposta di adesione al percorso di mediazione delle Nazioni Unite, ma in entrambi i parlamenti è vero che da ottobre in poi non si è mai riusciti a votare – e a votare favorevolmente – per il piano d’azione di Bernardino Leon. Kobler avrebbe oggi il compito di essere più persuasivo di quanto sia stato il suo predecessore e dall’inizio del suo mandato non ha fatto altro che incontrare delegati e rappresentanti di varia parte e vario livello da portare al convincimento.

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I presidenti di entrambi i parlamenti sono sempre stati dipinti come avversi al piano di mediazione delle Nazioni Unite: avversi per quanto lo possano essere una prima Capitale non riconosciuta e già isolata dalle cancellerie di tutto il mondo, Tripoli, e una seconda Capitale di fatto, Tobruk, che invece detiene il monopolio del riconoscimento internazionale, ma che si trova legata a questo riconoscimento a doppio mandato vista l’annosa questione del rifornimento di armi di cui necessita e che legalmente potrebbe avvenire – quando e se avverrà – solo tramite le Nazioni Unite.

A questo punto è possibile che, più che un piano alternativo in cui riporre sicure speranze di successo, sia Tripoli che, in modo forse meno convinto, Tobruk, vedano negli accordi di Tunisi un modo per fare pressione sulle Nazioni Unite e imporre per se stesse un peso specifico maggiore nel dialogo, diciamo così, tradizionale.

Al di là della minaccia, infatti, per motivi diversi né Tripoli né Tobruk possono rinunciare completamente alle Nazioni Unite e al loro ruolo di mediatrici: possono al massimo chiedere alla comunità internazionale che le Nazioni Unite stesse rappresentano di fare un passo indietro e di non proporre, ma solo facilitare e riconoscere, accordi che nascano in seno ai parlamenti: come appunto è avvenuto il 5 dicembre in occasione del vertice di Tunisi.


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Alessandro Pagano Dritto
Il primo amore è stato la letteratura, leggo e scrivo da che ne ho memoria. Poi sono arrivati la storia e il mondo, con la loro infinita varietà e con le loro infinite diversità. Gli eventi del 2011 mi lasciano innamorato della Libia: da allora ne seguo il dopoguerra e le persone che lo vivono, cercando di capire questo Paese e la sua strada.

2 Comments

  • […] dialogo alternativo che aveva preso le mosse a Tunisi lo scorso 5 dicembre e che, dopo la firma di quegli accordi ad opera delle delegazioni rappresentate da Awad Abdel Sadeq per il GNC e Ibrahim Amaish per la HOR, ha vissuto un’altra tappa importante il 16 dicembre 2015 con l’incontro dei presidenti dei due parlamenti a Malta, sotto la mediazione e il patrocinio dello stesso Primo Ministro dell’isola Joseph Muscat. In una conferenza stampa congiunta, Nuri Abu Sahmain del GNC e Ageela Saleh della HOR hanno sottolineato la necessità di concludere un accordo interlibico ma al di fuori di ogni condizionamento esterno alla Libia: condizionamento che, evidentemente, i due ravvisano nel dialogo mediato dalle Nazioni Unite e sostenuto con forza nel vertice di Roma. Per utilizzare le parole dello stesso Saleh, «non c’è dubbio che ci uniamo alla comunità internazionale perché ci aiuti a risolvere la nostra situazione, ma annunciamo anche il nostro rifiuto verso ogni imposizione straniera che non provenga dalla volontà del popolo libico. […] Sin dall’inizio sembriamo aver avuto un’unica opinione: vogliamo formare un governo di unità nazionale, ma non vogliamo che questo venga imposto da forze straniere. Un tale governo deve essere concordato dai libici». […]

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