di Alessandro Pagano Dritto
(Twitter: @paganodritto)
I recenti fatti di Tunisi suggeriscono che sia utile fermarsi sulla condizione attuale del parlamento libico internazionalmente riconosciuto: la House of Representatives (Casa dei Rappresentanti, HOR) di Tobruk, di stanza ad al Beida.
Come già fatto in occasione di un precedente pezzo che invece si concentrava sulla situazione delle autorità di Tripoli, le fonti utilizzate proverranno anche qui dalla stampa libica, ma di segno opposto: sarà infatti la stampa filo orientale e, tra questa, in gran parte il Libya Herald, a permettere adesso di capire cosa succede nell’unica camera libica dotata di riconoscimento internazionale. Un tentativo, questo, ancora una volta voluto e forse necessario di descrivere quella parte politica con le parole di chi non le è distante almeno e soprattutto in linea di principio, pur senza rinunciare a evidenziarne allo stesso tempo la complessità interna.
Al momento della firma della dichiarazione di intenti a Tunisi, nella tarda serata del 5 dicembre 2015, entrambe le rappresentanze di minoranza dei due parlamenti libici si sono dichiarate legittime inviate delle rispettive assemblee.
In realtà, se la cosa sembra essere assodata per il General National Council (Consiglio Generale Nazionale, GNC) di Tripoli, qualche dubbio in più permane riguardo la controparte internazionalmente riconosciuta di Tobruk: la House of Representatives (Casa dei Rappresentanti, HOR).
La HOR vicina alle Nazioni Unite: la proposta dei 92.
Diverse sono state infatti le testimonianze critiche di singoli parlamentari raccolte dalla stampa libica e internazionale. Valga per tutte quella di un portavoce ufficiale della camera ascoltata dalla Associated Press, che definiva quella firma «uno sforzo individuale e un tentativo puerile».
L’individualità cui il commento fa riferimento è proprio quella del firmatario della carta tunisina, Ibrahim Amaish, che viene dunque accusato di aver agito come singola entità e non a nome del parlamento.
Le accuse risaltano, seppur indirettamente, una verità, e cioè che su circa 130 parlamentari, una novantina ha da qualche tempo palesato la propria vicinanza al dialogo mediato dalle Nazioni Unite e per questo è stata anche lodata dalla stessa organizzazione con un comunicato ufficiale. In novembre, infatti, 92 deputati hanno avanzato una proposta di adesione di principio a questo dialogo pur non accettandone per intero gli esiti: ovvero una parte della bozza presentata e più volte rielaborata dall’ex inviato della United Nations Support Mission in Libya (Missione di Supporto delle Nazioni Unite in Libia, UNSMIL) Bernardino Leon e una parte della proposta di esecutivo. L’accordo veniva infatti concesso – al di là, appunto, di una vicinanza di principio – qualora si rivedessero quelle parti della proposta internazionale che riguardavano la riformulazione, tra gli altri, dei vertici dell’esercito orientale e alcune delle nomine secondarie proposte per l’esecutivo. Le forze militari orientali risultano attualmente impegnate nella lotta alle milizie ribelli nella città di Bengasi e in altre aree dell’est libico e sin dalla loro origine, nel maggio 2014, si sono distinte per una forte caratura antiislamista; cosa che le ha accomunate, dopo le elezioni del giugno successivo, al parlamento internazionalmente riconosciuto e invece opposte, conclusa l’estate, alle milizie di marca islamista della Capitale Tripoli.
Ageela Saleh Gwaider: un presidente ambiguo.
Nonostante i numeri di assoluta maggioranza, la proposta dei 92 non ha ancora avuto la forza di indirizzare con
sicurezza la politica del parlamento orientale perché sino ad oggi non si è riusciti a tenere una sessione di voto che potesse trasformarla in un indirizzo politico ufficiale.
La sessione più celebre risoltasi in un nulla di fatto è probabilmente quella del 20 ottobre che determinò con tutta probabilità il naufragio della mediazione di Bernardino Leon ancora prima della conclusione avvenuta con i fatti dello scandalo legato alla sua presunta vicinanza con la dirigenza politica degli Emirati Arabi Uniti. Ma da allora, pur con un riflesso mediatico minore, il copione si è replicato altre volte: il Libya Herald ne conta almeno otto, otto sessioni in cui per qualche motivo non c’è stata la possibilità di votare alcuna risoluzione. L’ultima, per adesso, l’8 dicembre 2015.
Sull’origine di almeno una parte di questi fallimenti parlamentari la stampa libica ha fatto un nome preciso: quello di Ageela Saleh Gwaider, ovvero dello stesso presidente della HOR, che in almeno un’occasione avrebbe reso impossibile il voto non presentandosi all’assemblea con la scusa di impegni ufficiali fuori dal territorio nazionale. Altre volte, invece, non sarebbe stato raggiunto il numero minimo di parlamentari presenti necessario per la votazione.
Se questi sospetti fossero veri, la HOR si ritroverebbe divisa tra una maggioranza quantitativa favorevole alla mediazione delle Nazioni Unite e una maggioranza, per così dire, qualitativa che invece è di diverso avviso e che, contando tra le sue fila lo stesso presidente dell’assemblea, avrebbe gioco facile nel protrarre quanto parrebbe necessario l’immobilità istituzionale del legislativo orientale.
Anche se il componente della delegazione ai colloqui mediati dalle Nazioni Unite Saleh Hemma ha detto che «Ageela Saleh ha richiesto che la HOR si riunisca, sottolineando che la decisione di firmare un accordo politico dovrebbe essere votata democraticamente alla camera e lui non accetta documenti firmati all’esterno», alcune ricostruzioni giornalistiche dei fatti più recenti dipingono invece un presidente più ambiguo che, pur non concedendo alcuna legittimazione ufficiale a Ibrahim Amaish per la firma di Tunisi, di fatto ufficiosamente prende atto della partecipazione di quest’ultimo all’ambasciata fuori confine. Basandosi su una fonte anonima tra i parlamentari della HOR, il Libya Herald riporta che «nessuna autorizzazione specifica era stata data […], ma quando è stato informato da Amaish dell’incontro, Ageela Saleh aveva detto che se [l’operazione] avesse dato l’impressione di poter funzionare, che allora lui procedesse pure». Insomma, non una diretta approvazione si tratterebbe, ma di un indiretto lascia passare.
Al momento di scrivere non sembrano esserci notizie precise di cosa il presidente della HOR ufficialmente pensi degli accordi di Tunisi, ma forse anche questo silenzio potrebbe essere indicativo dell’assenza di una sua aprioristica adesione al piano delle Nazioni Unite.
Di certo, invece, c’è che alcune pubbliche esternazioni di Ibrahim Amaish sembrano chiarire senza troppe riserve cosa pensi il parlamentare del dialogo mediato dalle Nazioni Unite:
Ibrahim Amish: Those calling for #NationalDialogue must be confronted – they support terrorists. Int’l community must take responsibility
— Libyaschannel EN (@LibyaschannelEN) 25 Ottobre 2015
La HOR lontana dalle Nazioni Unite: la mozione dei 17 e la questione del governo Serraj.
Ai primi di dicembre, il nuovo inviato delle Nazioni Unite in Libia Martin Kobler ha incontrato, tra gli altri, anche il presidente della HOR, con il quale avrebbe parlato della necessità di sostenere il dialogo principale e della sempre primaria questione della sicurezza. Secondo quanto riporta però il Libya Herald, oggetto della discussione è stato anche il governo di Fayez Serraj, ovvero l’esecutivo proposto in ottobre da Bernardino Leon e da allora appoggiato dai partner esteri che sostengono il dialogo mediato dalle Nazioni Unite: il 13 dicembre tutti questi sostenitori dovrebbero riunirsi, insieme con una delegazione libica, a Roma per tentare di ottenere il definitivo successo del principale percorso di mediazione.
Frank and long discussion with House of Representatives Speaker Aguila Saleh on the rapid signature of the Agreement pic.twitter.com/WumwfMOvjR — Martin Kobler (@KoblerSRSG) 5 Dicembre 2015
Anche Serraj, prima di essere il proposto Primo Ministro unitario, è un membro della HOR di Tobruk, ma, come è intuibile, una sua nomina troverebbe ostili anche diversi suoi colleghi. 17 di loro, infatti, si esprimevano alla fine di novembre considerando il governo proposto dalle Nazioni Unite una «tutela straniera» e appoggiando di fatto già allora un percorso alternativo. Naturalmente, per i 17 vale lo stesso discorso fatto per i 92: la loro proposta non è ancora un indirizzo politico ufficiale in quanto non riesce a tenersi una votazione. A differenza dei 92, la loro è però una proposta quantitativamente di minoranza. È possibile pensare che, almeno a livello di principio, quei 17 si rivedano nei recenti accordi di Tunisi, nell’azione di Ibrahim Amaish e nel presunto orientamento di Ageelah Saleh Gwaider.
Secondo alcuni osservatori dei fatti libici, questa minoranza di 27 parlamentari tra HOR e GNC che già a fine novembre si erano una prima volta ritrovati a Tunisi avrebbe, nella HOR, un suo radicamento in quella parte di Cirenaica vicina al Generale Khalifa Hafter e alla sua guerra contro i ribelli di Bengasi e dell’intera regione; ma quest’ipotesi non collima del tutto – a parere di chi scrive – con la tiepida accoglienza di recente espressa dall’Egitto, storicamente vicino ad Hafter, nei confronti dell’accordo di Tunisi e dell’atteggiamento conciliante della Tunisia, nonché con le richieste dei 92 in favore di un pressoché totale mantenimento dell’attuale leadership militare.
Le ultime evoluzioni dopo l’accordo di Tunisi: condizioni per un incontro tra i due presidenti libici.
Dopo la firma degli accordi di Tunisi, si è vociferato di un incontro tra i presidenti dei due parlamenti libici – per il GNC, Nuri Abu Sahmain – come successivo passo di un percorso di pacificazione interamente libico al di fuori dell’egida delle Nazioni Unite. Le quali, dal canto loro, hanno già avuto modo di confrontarsi con i firmatari e di spronarli, seppur dopo un «attento ascolto», a rientrare nei ranghi.
Candid talks w HoR & GNC delegations today in Tunis, listened carefully, urged them to join majority of Libyans & endorse UN-facilitated LPA
— Martin Kobler (@KoblerSRSG) 7 Dicembre 2015
La novantina di parlamentari firmatari della mozione di maggioranza favorevole alla mediazione internazionale non
ha scartato l’eventualità di un tale evento, ma ha espresso in un comunicato alcune condizioni: perché l’incontro tra i due presidenti avvenga – va da sé che Ageela Saleh Gwaider avrà bisogno della legittimazione dell’assemblea per agire nella piena legalità – il parlamento di Tripoli dovrà riconoscere l’attività, che la HOR considera antiterroristica, dei militari dell’Est e cessare ogni tipo di sostegno ai ribelli del Benghazi Revolutionaries’ Shura Council (Consiglio dei Rivoluzionari della Shura di Bengasi, BRSC) attualmente impegnati contro le truppe governative nel maggiore teatro di guerra del paese e, con i propri emuli, anche in altri teatri più o meno minoritari.
Rimane da capire se queste condizioni siano mai accettabili da una parte politica che ha fatto dell’opposizione ad Hafter e dal sostegno quanto meno morale e retorico ai ribelli del Consiglio, individuati come rivoluzionari, una delle sue prime ragioni di essere.
Profilo dell'autore
- Il primo amore è stato la letteratura, leggo e scrivo da che ne ho memoria. Poi sono arrivati la storia e il mondo, con la loro infinita varietà e con le loro infinite diversità. Gli eventi del 2011 mi lasciano innamorato della Libia: da allora ne seguo il dopoguerra e le persone che lo vivono, cercando di capire questo Paese e la sua strada.
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