Momento nero per l’informazione in Germania: sempre più reporter subiscono minacce e aggressioni. All’origine, il successo senza precedenti dei nazionalisti aggregati a PEGIDA
di Simone Zoppellaro
Insulti e minacce, persecuzioni ed intimidazioni. In Germania, nell’ultimo anno i giornalisti sono presi di mira con una frequenza e una violenza fino ad oggi inimmaginabili. Ma c’è di peggio. In una trentina di casi, dalle parole si è passati ai fatti, con vere e proprie aggressioni. Altre volte le violenze hanno raggiunto anche la sfera privata dei giornalisti, come è capitato ad esempio ad Helmut Schümann del Tagesspiegel, colpito alle spalle da uno sconosciuto mentre camminava a Berlino.
L’anno da poco concluso sarà ricordato come l’anno nero dei media tedeschi. Un fenomeno che, se dovesse proseguire, rischia di stravolgere per sempre il mondo del giornalismo in Germania. E – almeno a vedere quanto avvenuto a gennaio – la fine delle minacce e delle prevaricazioni sembra ancora lontana. Un’impennata di violenze – registrata da operatori del settore, polizia e attivisti – che ha una sola origine: l’affermazione di PEGIDA, il movimento dei “Patrioti europei contro l’islamizzazione dell’occidente” (questo il significato dell’acronimo) che dall’ottobre 2014 a oggi prosegue la sua protesta contro l’immigrazione e i profughi. Al centro delle violenze contro i media, non a caso, la Sassonia, che ha nelle città di Dresda e Lipsia le roccaforti del movimento. Molti i casi di violenze registrati durante le dimostrazioni organizzate in queste e in altre città ogni lunedì sera. Ma qual è l’origine di questo fenomeno? E perché tanto accanimento nei confronti dei media?
La chiamano la “stampa bugiarda” (Lügenpresse), con un termine già usato dagli agitatori nazisti per colpire i mezzo di comunicazione. Un bersaglio prediletto e costante da parte degli animatori del movimento, che già fin dal primo raduno a Dresda hanno preso ad attaccare i giornalisti, colpevoli – a loro avviso – di fornire una versione distorta della realtà e di colpevolizzare chiunque si opponga al fenomeno migratorio. Uno slogan, quello della “stampa bugiarda”, sfoggiato anche sulle magliette del fondatore di PEGIDA Lutz Bachmann, graphic designer con alle spalle tre anni di carcere per furto. Per non parlare di internet e dei social media, dove l’odio e le minacce avvengono su base quotidiana.
Una ricerca condotta da Martin Hoffmann per lo European Centre for Press and Media Freedom (ECPMF) getta luce su un fenomeno ampiamente dibattutto in Germania, ma di cui poco o nulla si è parlato in Italia. Uno studio di dodici pagine dal titolo significativo “L’immagine del nemico” (Das Feindbild), dove l’oggetto dell’odio è la figura del giornalista. Conclusa a dicembre, la ricerca ha destato notevole scalpore, tanto da raggiungere il Bundestag, il Parlamento tedesco, dove è stata presentata ai politici il 13 gennaio. Uno studio recente, come detto, ma che andrebbe già aggiornato. Nell’ultimo mese sono diversi gli episodi registrati dal già citato ECPMF e riportati dai media tedeschi. Ricordiamo ad esempio il caso di Ine Dippmann, giornalista della radio MDR Info, insultata, colpita al volto e alla mano, dove teneva un cellulare con cui fotografava, l’11 gennaio durante una manifestazione a Lipsia.
Un problema la cui portata ha travalicato anche i confini nazionali. A ottobre è intervenuta Dunja Mijatović, rappresentante per la libertà dei media dell’OSCE (l’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa) che ha lanciato un appello per la protezione dei giornalisti in Germania, ribadendo come “i ripetuti attacchi contro i giornalisti portati avanti dai sostenitori di PEGIDA siano allarmanti”. Un fenomeno che non riguarda solo PEGIDA, ma anche alcuni sostenitori di Alternative für Deutschland (AfD), il partito tedesco anti-immigrazione ad esso affine per slogan e tematiche. Nello studio già ricordato di Hoffmann, leggiamo così come a Erfurt lo scorso anno il politico Björn Höcke si sia rivolto alla folla leggendo una lista di giornalisti “bugiardi” e diffamandoli.
Il fenomeno della violenza sugli operatori dei media è parallelo a una crescita lenta ma costante dell’estrema destra tedesca, che nei territori dell’ex DDR – ma anche nelle periferie dell’ovest – sembra oggi avanzare. Se in almeno un caso registrato nel 2015 le violenze contro i giornalisti sono state prodotte da attivisti di sinistra, la miscela letale è nella maggioranza dei casi il prodotto di un’accolita – spesso indistinguibile – di estremisti di destra, hooligan e qualunquisti che prendono piede di pari passo con la crisi della classe media tedesca. Un’inquietudine socioeconomica che trova facile sfogo nella caccia all’immigrato, all’attivista di sinistra o al giornalista, figure identificate da molti di loro come nemiche. I casi di violenza commessi da estremisti di destra fra gennaio e novembre 2015 – come riportato dallo Spiegel – sono stati 846, con un incremento del 40% rispetto ai dati dell’anno precedente. In allarmante crescita, insieme all’islamofobia, anche l’antisemitismo.
Il tutto mentre PEGIDA, forte dell’onda emotiva suscitata dai fatti di Colonia, tenta il salto di qualità a livello internazionale. In un convegno tenuto a Praga la scorsa settimana insieme a 14 movimenti europei, cui ha partecipato anche la Lega Nord, i rappresentati del movimento xenofobo tedesco hanno annunciato una mobilitazione senza precedenti. Il 6 febbraio, si avranno dimostrazioni in molte città europee fra cui Dresda, Varsavia, Praga, Amsterdam e Birmingham. Un tentativo di espansione che non deve farci dimenticare come il movimento in Germania stenti tuttora a imporsi al di fuori dalle sue roccaforti dell’est.
Profilo dell'autore
- Giornalista freelance. Autore dei libri “Armenia oggi” (2016) e "Il genocidio degli yazidi" (2017), entrambi editi da Guerini e Associati. Collabora con l’Istituto Italiano di Cultura a Stoccarda e con l'ONG Gariwo - La foresta dei Giusti.