Non nominerai il nostro dolore invano

Migliaia di persone hanno invaso le strade di Dresda per ricordare la distruzione delle bombe alleate nel 1945. E strappare tale ricordo alla galassia neonazista che vorrebbe appropriarsene in chiave revisionista

di Simone Zoppellaro


Mano nella mano, 13.000 persone hanno formato una catena umana lunga quattro chilometri sulle due sponde del fiume Elba e attorno al centro storico cittadino. È successo sabato 13 febbraio a Dresda, città dell’ex Germania dell’est. Un atto simbolico, per ricordare la distruzione della città operata dall’aviazione anglo-americana fra il 13 e il 15 febbraio del 1945. Ma anche un gesto politico, per proteggere la commemorazione dal tentativo fatto dall’estrema destra tedesca di appropriarsene a fini di propaganda.

Alle 21:45 di sabato le campane in tutta la città hanno suonato per ricordare l’inizio del primo dei quattro attacchi aerei che 71 anni fa costarono la vita di migliaia di civili. C’è stato un concerto della Filarmonica di Dresda, corone di fiori deposte per le vittime e una preghiera per la pace. Candele sono state accese alla Frauenkirche, chiesa la cui ricostruzione è terminata nel 2005, sessanta anni dopo la sua distruzione. Non è la prima volta che si esprime in questo modo il ricordo: la prima catena umana è stata fatta nel 2010, per impedire l’accesso al centro cittadino al corteo di neonazisti, che ha anch’esso luogo ogni anno.

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Di nuovo c’è semmai, qui a Dresda, l’ascesa del movimento xenofobo PEGIDA, nato nell’ottobre 2014, e che ha proprio nella città della Sassonia il suo epicentro. E quest’anno, con un gesto carico di significato, la catena umana è terminata proprio in Theaterplatz, la piazza dove ogni lunedì da molti mesi si riuniscono gli esponenti di PEGIDA per protestare contro i profughi e l’immigrazione. L’altra Germania – quella che non è disposta a cedere al razzismo, neanche dopo i fatti di Colonia – è scesa in strada a Dresda, nonostante la giornata gelida, per ribadire i valori universali della pace e la tolleranza.

Uno spirito incarnato dal discorso tenuto dal sindaco, Dirk Hilbert, e riportato l’indomani per intero da diversi giornali. Al centro di questo, il resoconto di un bombardamento aereo raccontato dalla prospettiva di un ragazzino, un giovane profugo. Ma non si trattava però delle parole di un tedesco nel 1945, bensì di quelle di Mohammed, un quindicenne siriano – come tanti, troppi – fuggito dalla guerra.

Come ha ricordato il sindaco: “Il 13 febbraio ci ammonisce a non dimenticare le persone che in questi giorni sono vittime della guerra, del terrore e delle espulsioni. Dal 13 febbraio proviene la responsabilità non solo di portare il lutto e ricordare, ma anche di agire per coloro che oggi hanno bisogno del nostro aiuto. Chi separa il passato di più di 70 anni fa da quello a cui assistiamo oggi in alcune parti del mondo, chi chiude il suo cuore verso quelli che cercano la nostra protezione, non ha capito il messaggio del 13 febbraio”.

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Una tempesta di fuoco, quella che si abbatté in quei giorni su Dresda nel 1945, provocata dal massiccio utilizzo di bombe incendiarie. Un unico grande incendio, nato da tanti più piccoli, e che inghiottì per intero il centro cittadino, distruggendolo completamente. Alla fine dell’ultimo attacco – è stato calcolato – per ogni abitante di Dresda c’erano 42,8 metri cubi di macerie. Circa 25.000 le vittime, secondo i calcoli più attendibili, per quanto non manchino stime assai maggiori. Fra loro, soprattutto civili.

Una tragedia che per lunghi anni è rimasta ai margini della memoria e della coscienza tedesca, all’epoca del boom economico e della guerra fredda. Grazie anche all’opera degli storici, negli ultimi anni questa è tornata al centro del dibattito nel paese, e non sono mancate voci autorevoli – come lo scrittore Günter Grass – che l’hanno definita un crimine di guerra. Un orrore che sembra lontano, remoto, ma non lo è. Perché, come ha ricordato ancora il sindaco Hilbert: “La guerra è onnipresente, in ogni generazione”.

Foto copertina di Sebastian Kahnert/dpa tratta da Dresdner Neueste Nachrichten


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Profilo dell'autore

Simone Zoppellaro

Simone Zoppellaro
Giornalista freelance. Autore dei libri “Armenia oggi” (2016) e "Il genocidio degli yazidi" (2017), entrambi editi da Guerini e Associati. Collabora con l’Istituto Italiano di Cultura a Stoccarda e con l'ONG Gariwo - La foresta dei Giusti.

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