Da uno studio approfondito dell’arte dell’allevamento del baco da seta – in particolare nel cuore della tradizione italiana della produzione del pregiato filato, Mendicino (CS) – nasce la mostra Animas – Custode di anime, in esposizione all’(In)visibile di Cagliari fino al 27 febbraio. Per la realizzazione dell’installazione l’artista Maria Jole Serreli si avvale di una donazione di fili serici (scarti di produzione) donati dalle sorelle Bevilacqua di Mendicino, uniche artigiane che ancora lavorano la seta in quello che fu uno dei centri più importanti della Penisola. A testimonianza di ciò esiste l’importante museo della seta al quale l’artista ha donato una sua opera in seguito ad una residenza artistica nel 2015. L’installazione è accompagnata dalle musiche del compositore giapponese Shingo Inao.
“La luce che circonfonde l’anima, tra le più belle metafore della Commedia (La mia letizia mi ti tien celato/che mi raggia dintorno e mi nasconde/quasi animal di sua seta fasciato), sottolinea la potenzialità di significati a cui l’uomo ha da sempre legato il baco da seta e il suo filamento, la cui scoperta si perde tra le pagine del tempo in terre lontanissime, in luoghi fiabeschi che raccontano d’imperatrici d’oriente, di segreti custoditi con la morte, di viaggi perigliosi, di commerci tra popoli lontani”, scrive il curatore della mostra, Efisio Carbone. “La via della seta ha per secoli congiunto l’oriente con l’occidente creando fondamentali contatti economico-culturali tra mondi così distanti”.
In Animas – Custodi di trame, Jole ricostruisce significati e significanti di uno dei procedimenti più particolari dell’allevamento del baco da seta ossia il momento in cui le uova vengono custodite al caldo nelle stanze da letto ad opera delle donne, compito prezioso quanto delicato, fondamentale per la buona riuscita di tutto il processo. Tale procedimento unifica tutti i maggiori centri di produzione secondo una tradizione che attraversando mari e continenti, ma soprattutto millenni, continua a proporre questo singolare legame tra la donna generatrice di vita, perciò custode della stessa, e la schiusa delle uova dei bruchi. Il “tesoro della Sardegna” è quindi tutto nelle mani delle donne, in una stanza da letto che diviene centro produttivo ed epicentro poetico.
“Nascita, crescita, sviluppo e morte, ma anche legami sociali e familiari, sono quindi i temi che corrono lungo i delicati filamenti per racchiudersi in composizioni sapientemente articolate di repertori di stoffe racchiuse in casse- cassetti allestite con ritmo quasi musicale”, continua Carbone. “Tali stoffe sono impreziosite dai filamenti serici donati dalle sorelle Bevilacqua di Mendicino, uniche artigiane che ancora lavorano la seta con i procedimenti tradizionali, offerti con la certezza che la sensibilità artistica di Jole li avrebbe destinati a un fine straordinario, nobilitandoli dalla loro condizione di scarto. E così è stato. Jole ha seguito il loro lavoro durante una residenza promossa dal comune di Cosenza (a cura di Alberto Dambruso). Il suo amore per la produzione dei tessuti, per la sapienza femminile, l’ha condotta naturalmente verso il museo della seta di Mendicino aprendo le porte della conoscenza su una delle molteplici storie di donne coraggiose che salvano dall’oblio la ricchezza delle nostre tradizioni per pura vocazione e alto senso di ruolo comunitario. L’artista (dopo aver donato una sua opera alla collezione permanente del museo) ha poi ripreso il mare portandosi dietro un tesoro, come per secoli fecero uomini che perseguirono ‘virtute e canoscenza’. Lei, riconosciuta come una delle ultime custodi di trame”.
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